Recensione: Flower di Elizabeth Craft e Shea Olsen

Charlotte vive con la nonna ed è una ragazza con la testa sulle spalle: bravissima a scuola, lavora in un negozio di fiori per pagarsi gli studi e nel tempo libero si prepara per l’ammissione alla prestigiosa università di Stanford. È molto concentrata e non si concede distrazioni, niente uscite serali e soprattutto niente ragazzi: la sua più grande paura è infatti quella di fare la fine di tutte le donne della sua famiglia, che hanno rinunciato a seguire le proprie aspirazioni a causa dell’amore. Una sera, all’ora di chiusura, entra nel suo negozio un misterioso e affascinante cliente, ombroso ma gentile, che le fa strane domande. Nonostante ne rimanga colpita, Charlotte è sicura di non rivederlo mai più… E invece la mattina dopo le viene recapitato in classe un mazzo di rose purpuree, i suoi fiori preferiti. A mandarglieli è stato proprio Tate, il ragazzo della sera prima, che inizia a corteggiarla in modo molto discreto ma deciso. Charlotte, dopo le resistenze iniziali, decide di uscire con lui per una sola sera. Ma appena fuori dal ristorante vengono assaliti da folla di paparazzi che grida il nome di Tate… Chi è davvero quel misterioso ragazzo e cosa nasconde dietro quei bellissimi occhi malinconici?

Charlotte Reed è una ragazza come tante, tranne per la sua insolita relazione con i ragazzi, o meglio non relazione. Ha diciott’anni e non è mai stata fidanzata, fin qui nulla di strano se non fosse che pare evitare il genere maschile come la peste.
Tiene ugual comportamento anche sul fronte feste, party, balli di fine anno, insomma dimenticate le descrizioni delle classiche ragazze americane.
La protagonista passa la maggior parte del suo tempo a lavorare in un negozio di fiori, concentrandosi negli studi.
Ha un unico vero obiettivo, non vuole finire come le donne della sua famiglia. Sua nonna, sua madre e sua sorella potrebbero benissimo venire invitate tutte e tre da MTV “16 anni e incinta”, per capirci.
Il problema è che poco emerge, dalle sue convinzioni e ambizioni, il suo carattere.
Ancora meno sappiamo però di Tate, se non che pare Justin Bieber, sotto mentite spoglie.
Un assemblaggio di etichette, che non stimolano affatto un’immagine originale. Un idolo mondiale, con la fama di bad boy, fine.
Il che mi porta a domandarmi di cosa caspita parlino, lui e Charlotte.
Non hanno davvero nulla in comune, se non il sorbetto al lime e…non mi viene null’altro in mente, al momento. Non che questo determini una coppia, ma davvero, una volta esaurito argomenti come: casa- famiglia (di cui solo Charlotte parla e neanche troppo), cosa vorrebbero entrambi dalla vita e del lavoro, non resta poi molto.
Quindi quella che ci viene offerta è una favola, dove una giovane e ingenua ragazza finalmente volge lo sguardo verso l’altra metà della popolazione, prima ignorata e un ragazzo, con manie di controllo e ben poche spiegazioni a portata di mano. Si incontrano, si innamorano, si lasciano, ma hanno ovviamente firmato per un contratto per un vissero per sempre felici e contenti.
Una linea di svolgimenti semplice, quanto prevedibile, durante i quali incontriamo qualche altro personaggio, anch’essi molto stereotipati.
Se non altro lo stile narrativo è veloce, forse anche troppo, dato che non abbiamo neppure modo di conoscere per bene Charlotte e Tate.
Quindi questo è un romanzo che si legge davvero in poco tempo, ma che poco lascia nella mente del lettore. Su questo genere potete trovare The Heartbreakers di Ali Novak (QUI, la recensione) oppure Idol di Kristen Callihan, il migliore tra i due, secondo me, ma in inglese (QUI, recensione).
Se cercate una lettura leggera, senza aspettative, allora avete trovato il libro per voi, diversamente restate con noi, per ulteriori consigli.
Lost Inside My Universe

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