After the visit - Thomas Hardy
DOPO LA
VISITA
Una volta,
qualche anno fa, avevo comprato distrattamente una raccolta di poesie di Thomas
Hardy: Poesie d’amore.
Uno di quei
libri che compri distrattamente, che poi in realtà non era nemmeno il libro che
stavo cercando. Poi l’ho visto lì, in mezzo a tanti altri libri, confuso tra
gli altri, e ho cominciato a sfogliarlo. E alla fine mi sono detta, perché lasciarlo
lì?
Mi piacciono
i libri di poesie, perché fin da piccola, per lo meno i pochi che avevo a casa,
mi divertivo a sfogliarli, leggere le poesie distrattamente finché non trovavo
La poesia, quella che mi colpiva, quella che aveva una musica diversa. Basta
soltanto una frase, quella frase buttata lì, intrecciata e confusa alle altre,
ma che sa aprire un varco tra il tuo cuore e il cielo.
Oggi stavo
sfogliando distrattamente questa silloge di Thomas Hardy e questa magia è
accaduta di nuovo, in una delle mie (aimè tante) distrazioni dallo studio.
Una poesia
mi ha colpita, e in particolare, alcuni versi abbracciati da questa poesia.
Ve li
ricopio qua ancor prima della poesia stessa:
“Prima che
tu venissi
il delicato
profumo delle aiuole passava inosservato”
So che non c’è
bisogno di dire nulla, perché di spiega da sé, ma insomma, quante volte la cosa
più semplice e insulsa che prima ci era totalmente indifferente si colora di
poesia se guardata con gli occhi dell’amore?
Quanti paesaggi
bellissimi ci perdiamo, persi nei nostri problemi, prima di lasciarci
trasportare dall’amore? Non solo amore tra due persone, anche amore in senso
lato, energia dell’universo insomma.
E poi un
altro verso, un’immagine piuttosto:
“con i tuoi
occhi larghi, luminosi e viventi,
che mi
fissavano in modo inquisitivo,
come quelli
di un’anima che soppesasse,
senza
rendersene del tutto conto,
l’eterno
problema di cosa fosse la Vita”
un’immagine
che esprime un’osservazione profonda di uno sguardo. Quegli sguardi che capita
di vedere, se si guarda attentamente. Quegli sguardi che nascondono nella parte
più profonda degli occhi l’inquietudine. L’inquietudine dell’esistere. Quell’inquietudine
che prima o poi tutti ci troviamo a sperimentare.
Vieni
di nuovo là
dove la tua presenza era come una foglia che sfiora
per la strada arida ed erta che fa appassire
il fiore sul volto del viandante.
Vieni di
nuovo con i piedi lievi
sull’erba come lanugine di cardo,
e con le mute gentilezze per uno e per tutti,
così ineffabilmente dolci.
Prima che tu arrivassi
passa inosservato il profumo delicato delle aiuole;
né io vedevo il fascino del variare del giorno,
e i colori mutevoli delle nubi.
Lungo i
corridoi bui
camminavi così silenziosa che io non distinguevo
il tuo aspetto da quello di un vecchio fantasma
che, dicono, si aggirasse in queste stanze,
finché non emergesti dall’ombra
con i tuoi occhi larghi, luminosi e vivi,
che mi guardavano in modo inquisitorio,
come quelli di un’anima che riflette,
senza
rendersene del tutto conto,
sull’eterno problema di che cosa sia la Vita,
del perché noi siamo qui, e per quale strana legge
ciò che conta di più non può essere.
E per
non perdere la musica:
Come again to the place
Where your presence was as a leaf that skims
Down a drouthy way whose ascent bedims
The bloom on the farer's face.
Come again, with the feet
That were light on the green as a thistledown ball,
And those mute ministrations to one and to all
Beyond a man's saying sweet.
Until then the faint scent
Of the bordering flowers swam unheeded away,
And I marked not the charm in the changes of day
As the cloud-colours came and went.
Through the dark corridors
Your walk was so soundless I did not know
Your form from a phantom's of long ago
Said to pass on the ancient floors,
Till you drew from the shad
And I saw the large luminous living eyes
Regard me in fixed inquiring-wise
As those of a soul that weighed,
Scarce consciously,
The eternal question of what Life was,
And why we were there, and by whose strange laws
That which mattered most could not be.
-Iris-
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