Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere - Operette morali - Leopardi
Fra le ultime pagine delle Operette, fra un pessimismo ormai
senza uscita, dove persino l’amore perde ogni valenza, si trova un breve
dialogo, dai toni sommessi e malinconici ambientato in una non ben definita
città dell’epoca, nel dolce periodo Natalizio.
È un dialogo anch'esso all'insegna del pessimismo, ma che si
svolge con toni spontanei, casuali, un confronto tra chi ha accettato la cruda
realtà di una vita infelice, e chi invece ancora vive di illusioni, illusioni
che devono restar vive, come esprime quell'ultima nota di speranza alla fine
del dialogo.
Un venditore di almanacchi, una sorta di calendario contenenti
anche informazioni aggiuntive di vario genere, si trova in piazza appunto per
svolgere la sua attività, quando incontro un signore di passaggio che si ferma
per comprare un almanacco.
Il dialogo tra i due avviene con toni tranquilli, il passeggere
semplicemente pone al venditore una serie di domande che gli mostrano una
verità nascosta ma che già era in lui. Non esistono anni più felici di altri,
ogni anno è esattamente uguale, ed in ognuno si trova la stessa inesorabile
infelicità che accompagna la vita di ognuno.
E se la vita dovesse essere rivissuta esattamente come è
stata? Vorremmo riviverla?
Leopardi risponde di no, nessuno vorrebbe passare per la
seconda volta sugli stessi dolori e sulle stesse ferite. E l’unica vita che
potrebbe essere rivissuta è quella di cui ancora non si conosce l’esito, che
lascia dunque aperto quello spiragli di speranza ed illusione che è l’unica
salvezza ormai rimasta.
E così “quella vita che è una cosa bella, non è la vita che
si conosce, non è la passata, ma la futura” esattamente come l’anno che
arriverà.
Personalmente non credo che la gioia possa essere solo
futura, come ho già detto in qualche recensione precedente, in quanto mi capita
appunto di vivere momenti felici anche nel presente, però non posso riconoscere
l’importanza che hanno in una prospettiva di gioia le illusioni e le speranze
future.
Quante volte ci troviamo a sperare? Sperare che le cose
miglioreranno, sperare che l’esame andrà bene, sperare che domani ci sia il
sole, sperare di essere più felici se si è tristi…
E quante volte a sognare il nostro futuro? A fantasticare
sul passato? Su mille vite diverse?
Insomma, voglio dire che se non ci fossero le illusioni, se
non ci fossero le speranze, ma la ragione dominasse ogni angolo dei nostri
pensieri, allora, come dice Leopardi da qualche parte nello Zibaldone, “svanirebbe
ogni poesia”.
E la poesia è ciò che ci tiene in vita l’animo, ciò che ci
permette di sognare, di fantasticare. È il miele dei nostri pensieri, della
nostra anima…
E per finire vorrei allegare qua un bellissimo
cortometraggio che riporta le battute di questo dialogo accompagnate da una
splendida musica.
-Iris-
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