Recensione: "So tutto di te" di Clare Mackintosh
È il solito viso stanco quello che Zoe Walker, madre quarantenne e divorziata di due figli, intravede riflesso nel finestrino del treno che la sta riportando a casa. È un venerdì come tanti, e dopo un'intera settimana trascorsa ad assecondare un capo impossibile, tutto ciò che desidera è accoccolarsi sul divano tra le braccia del nuovo compagno, Simon. Ma mentre sfoglia impaziente e distratta una copia della London Gazette, la sua mano si blocca di colpo. Perché il volto di donna che pare fissarla da quelle pagine gualcite, un po' fuori fuoco ma inconfondibile in mezzo alle immagini equivoche delle hotline a pagamento, altri non è che il suo. E se i famigliari insistono che debba trattarsi di un errore o di uno scherzo, Zoe non può fare a meno di restarne turbata, anche quando l'indirizzo web che accompagna la foto si rivela inesistente. La sua inquietudine si trasforma in incubo quando, sullo stesso giornale e corredata dal solito indirizzo Internet, appare la foto di un'altra donna, che in capo a pochi giorni viene ritrovata uccisa alla periferia di Londra. Nessuno, nelle forze dell'ordine o in famiglia, sembra disposto a credere che tra l'omicidio e gli annunci del misterioso sito findtheone.com possa esistere un legame. Ma mentre il conto delle vittime sale inesorabile, il sospetto che quella di Zoe non sia semplice paranoia si fa strada nella mente dell'agente Kelly Swift, abile e impulsiva detective in cerca di riscatto.
“So tutto di
te” comincia con una narrazione lenta. Insinua dubbi nella mente del lettore
sin dalle prime parole, senza che questo se ne renda conto, troppo preso a
superare le pagine iniziali e giungere agli sviluppi successivi, a quelli già
riportati nella trama.
Conosciamo
Zoe, una mamma divorziata, che ama i suoi due figli – Justin e Katie – ed il
suo nuovo compagno – Simon.
Una vagonata
di nomi e personaggi, ma in qualche modo acquistano tutti delle sembianze
veritiere, sebbene questo sia solo che il primo punto di vista del libro.
Successivamente
vi è, infatti, quello dell’agente Katy Swift, che porta con sé, a sua volta, i
nomi dei suoi colleghi e famigliari.
E c’è,
infine, la parte che ci illustra i pensieri e le macchinazioni della mente
malata, che si cela dietro il sito che va ad aprire il racconto.
Intelligente
e allo stesso tempo interessante, è la scelta di narrare il punto di vista di
Zoe in prima persona, così che ogni sua azione, persino la più banale, risulti
adrenalinica. La identifichiamo dalle prime battute come la “vittima” del
romanzo, eppure finiamo per affezionarci a lei, cominciamo a conoscerla e condividere
i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Una persona normale, con una vita
normale. Una persona che potrebbe essere chiunque.
Una donna
che è stata in grado di rialzarsi dopo un divorzio, che si alterna tra lavoro e
famiglia, con una cerchia di amici e le quotidiane apprensioni.
Nulla di
nuovo e allo stesso tempo la scoperta di una banalità, che aiuta immediatamente
a consolidare il personaggio di Zoe nella persona che sta attendendo il treno,
accanto a noi.
Al
contrario, il pov dell’Agente Swift, è narrato in terza persona, il che porta
in alcuni punti a smorzare il clima d’azione precedentemente costruito, ma ha anche
un non so chè di “vintage”. Ogni volta che leggevo delle vicissitudini della
polizia mi sembrava che queste avessero più rilevanza, come se stessi leggendo
di detective che avevano fatto la storia, uscendo dalle pagine di un libro dell’ottocento.
E poi vi è l’inventore
del sito d’incontri.
Sarò
sincera, ho sospettato di tutti. Ogni personaggio poteva essere il colpevole,
ma sono stata tratta in inganno. Fuorviata nel peggiore dei modi. Sono arrivata alla fine del romanzo talmente
spiazzata, da rimanere letteralmente a bocca aperta. In un thriller, se il
finale non è all’altezza significa che qualcosa non ha decisamente funzionato, e
qui il finale già di per sé era stato ottimo, ma l’epilogo… mi ha del tutto
raggelata. Ed è stato fantastico.
C’erano
indizi ovunque perché io ci arrivassi! Così tanti, che mi sono sentita una
sciocca, mentre il mio cervello univa i puntini e faceva due più due. Eppure
non ho voluto ascoltarli, la mia mente è restata ammaliata e ancorata agli
stereotipi sedimentati nella nostra società.
Società che
questo libro mi ha portato a guardare con occhi diversi, mentre sedevo sul
treno. Non sarà una metropolitana, ma è quanto più ci assomiglia ed è stato
quasi disturbante ritrovarsi, in quelle parole scritte nero su bianco.
Lo vedo
tutti i giorni, nessuno si cura del prossimo o si guarda davvero attorno. Siamo
tutti troppo presi a riposarci, a concentrarci sull’ultima notizia, ad
aggiornarci sugli ultimi trend o qualsiasi cosa che ci permetta di isolarci da quello
che non invade il nostro spazio personale.
“Una volta mi sentivo al sicuro, in
metropolitana. Tutte quelle telecamere, tutta quella gente intorno. Ma nessuno
ti guarda; nessuno presta attenzione agli altri. Ciascuno viaggia chiuso nella
sua piccola bolla, ignaro di ciò che accade ai compagni di viaggio.”
Potrà anche
esser stato l’ambiente, in cui mi sono ritrovata a leggere, ma credo che questo
libro, oltre che a mille dubbi, insinui anche dell’altro. Un tarlo, che ci
porta a vacillare e prendere in esame ogni occhiata ci venga rivolta,
domandandoci se davvero questa sia stata casuale. E se fosse stata progettata?
Orchestrata in qualche modo, così da sembrare una coincidenza?
“Allora perché te la prendi con me?
Io combino gli incontri, nient’altro.
Il mio compito è creare le coincidenze.
Tu credi di averlo incontrato per caso. E che per caso ti abbia tenuto la
porta aperta; che ti abbia preso la tua sciarpa per sbaglio; che non avesse
idea che saresti passata di lì…
Forse è così, forse no.
Adesso sai che esistono persone come me, e questo dubbio ti rimarrà per
sempre.”
È quello su
cui ci lascia riflette l’artefice di questo sito d’incontri, con parole tanto
veritiere da apparire quasi giuste.
Lui e le sue verità, in grado di trarre vantaggio dalla natura dell’uomo.
Quella che più ci affascinata, il male.
Lost Inside My Universe
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