La trilogia della città di K - Agota Kristof

Buongiorno specchietti!
Oggi voglio recensire un libro che mi è piaciuto davvero molto, Trilogia della città di K di Agota Kristoff.

Trama:
In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la "Trilogia della città di K" ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.

La mia opinione (contiene spoiler):
La freddezza dello stile della kristoff, una prosa statica e totalmente al presente, come una cronaca di eventi orribili, nella quale la tristezza emerge dalla tragica indifferenza con cui le cose accadono, abbraccia perfettamente la storia, che sembra rispecchiare l'essenza di questa prosa. Le tre parti sono leggermente differenti anche nello stile. Appena si comincia a leggere si rimane colpiti dalla crudezza di ciò che accade e dalla voglia di scoprire ancora, di scoprire se c'è e qual è un perché di quanto accade. Nella prima parte del libro i due gemelli sono una sola persona, parlano al plurale, raccontano al plurale, fanno le stesse cose. Non si separano. Mai. 
La seconda parte mette in dubbio tutto quanto è accaduto nella prima. Ci si chiede se la parte precedente non fosse soltanto frutto di immaginazione che ora riusciamo a reinterpretare. Un sogno? Una malattia mentale?
Intanto la freddezza della prosa rimane, ma sembrano scaldarsi un po' di più i sentimenti. Il bisogno di avere qualcuno per cui vivere, qualcuno cui legare la propria vita, qualcuno che sostituisca chi non c'è più.
E poi si arriva alla terza parte, la terza menzogna. E di nuovo la sensazione di estraniamento. Che cosa è vero allora? Dove sta la realtà? Quest'ultima parte sembrerebbe il reale e le vicende raccontate fino a questo momento la trasposizione di quanto avvenuto realmente in forma di narrazione. Perché si scrive le cose in modo diverso, come si vorrebbe che fossero andate, perché la realtà fa troppo male. È troppo dolorosa scriverla, la realtà. 
Eppure rimane quel l'interrogativo destinato a restare aperto, come per la vita, e se anche questa parte fosse inventata?

Mi è piaciuto questo libro per tanti motivi. La prosa fredda e malinconica. I dialoghi fugaci. La rappresentazione senza filtri della sofferenza. E il fatto che Agota Kristof non ci dia risposte, ma lasci al lettore la soddisfazione di quello sforzo mentale per andare a cercarle le risposte. La voglia di capire, di sapere di più.


-Iris-

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