Bohemian Rhapsody













Cari lettori,
questa settimana, vi sorprendo. Non vi parlerò di un libro letto, com’è ormai consuetudine, no, oggi esco dalla mia comfort zone: sono andata, venerdì sera, a vedere Bohemian Rhapsody, film diretto da Bryan Singer, ispirato alla vita del celebre cantante Freddie Mercury e della sua band i Queen e volevo assolutamente condividere con voi quest’esperienza.
Mi scuso in anticipo per i probabili scivoloni che potrò prendere, non essendo propriamente il mio campo e conoscendo ben poco la cinematografia.

Non so voi, ma i Queen sono il mio gruppo preferito in assoluto: li trovo perfetti, originali, poliedrici e intramontabili. Parlo di loro al presente perché, a mio avviso, la musica, come l’arte in generale, è eterna.
Sono una grandissima fan, ho tutti i loro dischi, li ascolto spessissimo e nessun pezzo mi scuote dal profondo, partendo dallo stomaco fino ad arrivare al cuore, ogni singola volta, come una loro canzone.
Ho ascoltato la stessa Bohemian Rhapsody milioni di volte, potrei farlo ancora e ancora, ma le emozioni rimarrebbero sempre le stesse.

Dopo queste premesse, potete immaginare, dunque, con quanta impazienza io abbia aspettato l’uscita di questo film e quante aspettative avessi a riguardo.
Sono andata con mia madre – perché al cinema ci si deve andare con cui ci si sente libero di emozionarsi - beh, ho fatto bene, perché di emozioni ne ho vissute veramente tante.
Somiglianze sbalorditive degli attori – un plauso al trucco e ai costumi di scena - temevo moltissimo per la voce di Freddie, impossibile da imitare, ma anche per quell’aspetto, hanno lasciato la versione originale delle canzoni citate e aggiunto solamente qualche “mix” con la voce di Rami Malek, al fine di rendere la trama più fluida e lineare.
Una versione attenta, umile e ben studiata dei primi quindi anni di successi della band.
Un film che scorre via veloce, dandoci una versione del Freddie performer, pieno di creatività, sempre in cerca di nuovi sound e nuove parole da poter mettere in musica e il Freddie fuori dal palco, in continua lotta con i suoi demoni interiori, le sue insicurezze di uomo e la sua solitudine.
Una versione, sebbene attenta e fedele, anche fruibile a un pubblico più giovane, vista l’integrità morale con la quale si affrontano gli aspetti più bui della vita del protagonista in sala con noi infatti, c’erano famiglie con bambini dai sei anni in su.

L’emozione di poter assistere anche se in maniera del tutto artificiosa alla nascita di pezzi che mi accompagnano ovunque nella mia quotidianità, o di assistere a una perfomance come quella del Live Aid, è stata indescrivibile. Io e mia madre ci siamo commosse in più di un’occasione e in sala c’era gente che, non potendo resistere, ha iniziato a ballare sulla sedia.

Lo consiglio a tutti, sia ai fan, come me, sia a persone che conoscono poco i Queen; magari è la volta buona per avvicinarsi a uno dei gruppi che ha definitivamente cambiato il modo di fare musica nella storia.

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