News - Connie Furnari
Per aiutare il padre malato di cuore,
dopo aver lasciato il college, April si vede costretta a lavorare nell’attività
di famiglia, un’officina meccanica nel Queens.
Il suo più grande sogno è diventare
attrice, sperando così di dare un senso alla propria vita, e magari guadagnare
per fare curare il padre in strutture adeguate.
La sua occasione arriva quando, a causa
di circostanze impreviste, viene scelta per interpretare Jo March in una
rappresentazione teatrale di Piccole Donne a Manhattan, organizzata dalla
famosa compagnia Lancelot, diretta dall’affascinante Edward Tucker, il quale
sembra fin da subito provare un evidente interesse per lei.
Ma l’ambiente del teatro e del cinema
non è come April si aspettava: ben presto, comprende che dovrà lottare
assiduamente, per non soccombere all’invidia degli altri membri della compagnia
teatrale.
Per caso conosce Joe, e ne rimane
affascinata: un ragazzo cresciuto nel Bronx, ribelle e determinato, che si
allena nella palestra vicino alla sede Lancelot, sperando di diventare un
pugile professionista.
Tra April e Joe nasce una forte
amicizia, e cominciano a sostenersi a vicenda, per realizzare ognuno il proprio
sogno. Quando capiscono di provare qualcosa l’uno per l’altra, si scontrano con
la dura realtà, e la loro passionale storia d’amore viene intralciata
dall’ambiente teatrale, pieno di raccomandazioni e ingiustizie, e quello
corrotto e duro della boxe.
Puncher è un romance dallo stile fresco
e coinvolgente, con accese sfumature hot e due protagonisti molto indipendenti e appassionati. Un romanzo
che narra di un amore forte e istintivo, intralciato dalla vita reale, che
lotta per realizzarsi in un mondo corrotto e sporco, in cui i sogni sono
l’unico modo per sopravvivere.
L’autrice
Connie Furnari è
nata a Catania. Laureata in lettere, appassionata di cinema, pittura e
animazione giapponese, ha pubblicato con varie case editrici e vinto diversi
premi letterari.
Predilige
scrivere il fantasy e il paranormal, ma si dedica anche al romance e alla
narrativa per bambini. Tutte le opere dell’autrice sono facilmente reperibili
su Amazon, sia in digitale che in cartaceo.
Collaboratrice
di molti web magazine letterari, vive tra centinaia di libri e dvd; adora
leggere, disegnare manga, e dipingere quadri.
Il blog www.conniefurnari.blogspot.it offre
stralci delle sue opere, contest letterari, affiliazioni e promozioni di opere
inedite ed editori, una sezione dedicata agli scrittori esordienti e alle case
editrici, servizi di editing e molto altro.
Stralcio:
Uscii fuori. Non
potevo arrendermi prima ancora di iniziare. Era l’unica occasione che avevo.
Sarebbe stato facile rinunciare, così da tornare a casa, nel mio angolino… ma
non potevo. Dovevo dimostrare a me stessa di avere le palle.
Una volta giunta
davanti all’entrata, alzai il capo. La hostess aveva detto che il Teatro 2 era
sopra di loro. C’era una grondaia che percorreva la facciata frontale
dell’edificio, con piante d’edera che ricoprivano il muro fino al secondo
piano. Senza pensarci due volte, mi arrampicai. Sarei arrivata a
quell’audizione a tutti i costi, non mi importava di fare le mie solite
figuracce.
Il mio piede a
un tratto scivolò. Urlai, mentre cadevo all’indietro, staccandomi dalla
grondaia, dopo essere arrivata quasi a destinazione.
Aspettai di
sentire il dolore e il pavimento del parcheggio sotto la mia schiena, ma
qualcosa fermò la mia caduta. Due braccia forti.
«Questa è la
prima volta che una bella ragazza mi cade dal cielo.»
La voce che
pronunciò questa frase era roca, sexy.
Un ragazzo mi
aveva presa, salvandomi. Le mie mani caddero sui suoi pettorali, messi in
mostra dalla maglietta aderente, a maniche corte, sotto la giacca di pelle.
«Scusa!» mi
divincolai arrossendo e lui mi fece scendere.
«Per fortuna
sono arrivato in tempo.»
«Ma come hai
fatto a…»
«Stavo uscendo
dagli studi e ho visto una donna arrampicarsi per un muro. Non è una cosa che
si vede tutti i giorni. Così mi sono avvicinato.»
Mi sorrise in un
modo che mi fece tremare le ginocchia. Era carino da morire. Aveva gli occhi
grigio verdi: i capelli ricciuti e color castano chiaro gli incorniciavano il
volto, facendolo sembrare un angelo.
Imbarazzandomi,
chinai lo sguardo. «Grazie.»
«Posso chiederti
perché ti stavi arrampicando su per la grondaia?»
Gli dissi la
verità. «Ecco, devo fare un’audizione per la compagnia teatrale Lancelot e
qualche simpaticona mi ha chiusa fuori, in modo da avere una rivale in meno.»
Lasciò scappare
un fischio. «Benvenuta nel mio mondo.» Si girò verso la strada e indicò un
fabbricato, dall’altra parte. Una palestra di boxe: l’edificio era moderno, le
facciate di mattoni color terracotta. L’insegna diceva Douglas’ Boxing. «Io mi alleno laggiù. Anche nel mio ambiente c’è
parecchia rivalità. Tutti che ti vogliono fottere. In questi studi c’è la
nostra agenzia pubblicitaria.»
Ecco come si era
trovato lì, pronto a soccorrermi. «Sei un pugile?» ipotizzai.
«Diciamo che ci
provo» mi fece l’occhiolino. Era davvero un figo stratosferico, ma da dove era
saltato fuori? Mentre ammiravo la sua prestanza fisica, ricordai che c’era
qualcosa che dovevo fare e che avevo quasi dimenticato, distratta dalla sua
avvenenza.
«Oh, merda»
urlai. «Avranno già iniziato senza di me!» Alzai di nuovo il capo verso il
primo piano. E mi rivolsi a quel ragazzo sconosciuto. «Senti, dammi una mano.
Fammi salire sulle tue spalle, in modo che possa raggiungere quel balcone.»
«Cazzo, ma sei
impazzita?»
Mi squadrò
sorpreso. Sembrava comunque divertito.
«Ti prego!»
insistetti, congiungendo le mani.
Lui sospirò. Si
chinò e gli saltai addosso. Fin da bambina, il mio corpo si era sempre
conservato agile e scattante, e non trovai difficoltà a mettere i piedi sulle
sue spalle.
«Peso troppo?»
chiesi preoccupata, mentre arrancavo e cercavo di aggrapparmi di nuovo alla
grondaia.
«Stai
scherzando? Sei così minuta che potrei sollevarti con un dito!» Mi diede
un’ulteriore spinta e mi arrampicai, come stavo facendo prima.
Quando raggiunsi
il balcone, scavalcai la ringhiera con una gamba e mi sporsi. Lui era ancora là
sotto. «Grazie. E scusami se ti sono caduta addosso, poco fa.»
Alzò il pollice
e gli sorrisi. Un po’ mi dispiaceva lasciarlo, ma dovevo entrare. Ci
osservammo, senza parlare, per parecchi secondi. Anche lui non aveva nessuna
voglia di andarsene.
Infine, mi resi
conto che ero davvero in ritardo. «Ci vediamo. Scappo!»
Non rimasi ad
attendere la sua risposta. Mi lanciai come una furia contro la portafinestra e
la spalancai. Inciampando, arrivai a terra.
Appena mi
sollevai, con le foglie d’edera attaccate ai capelli, vidi una folla di persone
che mi osservava. Ero in un teatro di prove. I ragazzi che erano con me al
piano di sotto poco prima spalancarono la bocca, impressionati. Avevano capito
che non ero il tipo da lasciarsi fregare così facilmente.
Stralcio:
Quando parlò, cominciai
a capire molto di quel ragazzo, che sembrava sempre così inquieto e sbandato:
«Sono cresciuto
nel Bronx. Da bambino ho passato l’inferno. Vivevamo in uno squallido bilocale.
Mio padre non lavorava, beveva, e quando era ubriaco picchiava me e mia madre.
Una notte, quando avevo quindici anni, tornai a casa dopo essere stato fuori
con degli amici. Mio padre stava picchiando mia madre per l’ennesima volta. Non
ce la feci più a sopportare, senza fare nulla. Mi avventai su di lui e lo
massacrai di pugni. Ero fuori di me. Mi fermai solo perché mia madre corse a
chiamare i vicini, e riuscirono ad allontanarmi da quel bastardo.»
Ero senza
parole, lo vidi esitare.
«April, te lo
potrei giurare… quella notte sarei arrivato ad ammazzarlo se non ci avessero
divisi, per quello che ci aveva fatto patire, per anni e anni.»
Commossa, gli
presi la mano e gliela strinsi. Non c’era nulla che io potessi dire. La sua
sofferenza era lampante, mentre ricordava quella storia.
Proseguì, con
voce velata. «Quando si riprese, mio padre disse che non ero più suo figlio, e
che mi avrebbe sbattuto fuori di casa. Gli urlai contro che ero io ad
andarmene, e non lui a cacciarmi. Non mi fece neppure salutare mia madre. Me ne
andai con la poca roba che avevo, mentre lei piangeva chiusa in bagno.»
Assentii e
ascoltai ancora:
«Fin ora mi sono
sempre mantenuto facendo lavori saltuari, come lo scaricatore di merci ai
magazzini, il commesso nei fast food, il fattorino…»
Prese fiato. «Lo
stesso giorno che mi trasferii nel mio quartiere, alcuni ragazzi provarono a
fare i gradassi, chiedendomi denaro, visto che ero nuovo. Li massacrai a pugni
e nessuno osò più fare il bullo con me, anzi, cominciarono a starmi alla larga
considerandomi un delinquente. Dopo aver vissuto fin da bambino nel Bronx, era
la sola legge che conoscevo. I pugni.
E a quel punto compresi. Mi sentivo meglio solo quando picchiavo qualcuno,
perché davanti a me vedevo soltanto la faccia di mio padre.»
Trattenni il
fiato. Era spaventoso. Capivo come si era sentito, cosa doveva provare in quel
momento, mentre mi raccontava di quanto la vita fosse stata crudele con lui.
«Mi misi a
girare per New York, ma nessun manager voleva puntare su un pugile senza alcuna
esperienza. A Manhattan trovai la palestra di Douglas, quella accanto agli
studi televisivi Lancelot» proseguì. «Gli raccontai la mia storia e lui mi
prese sotto la sua ala. Fin ora è stato lui che mi ha fatto da padre. E anche
se a volte è troppo duro, è niente paragonato a quello che ho subìto da
bambino. A modo suo, Douglas mi ha sempre voluto bene. A differenza di mio
padre.»
«Che ne è stato
dei tuoi genitori?» mi azzardai a chiedere.
«Tre anni fa
ricevetti una telefonata di mia madre, era riuscita a rintracciarmi perché le
avevano raccontato che ero diventato un pugile. Mio padre era morto. Gli
avevano sparato durante una rapina, in un negozio di liquori. Andai al
funerale, per rimanere accanto a lei, ma non versai neppure una lacrima. Non
riuscivo a piangere. Quell’uomo non era mai stato niente per me.»
«Joe…» mi
avvicinai ancora di più. I nostri fianchi si sfiorarono.
«Scusami April,
non volevo intristirti.»
Non so perché lo
feci, perché glielo dissi. Forse perché la sua storia mi aveva aperto il cuore.
Chinai il capo e sussurrai piano. «Un pomeriggio di molti anni fa, quando ero
bambina, stavo giocando in cortile. Mia madre era seduta su un gradino del
portico, e fumava una sigaretta. Fin da piccola, l’avevo sempre vista con
quell’espressione vuota. Come se non fosse felice. Facevo le capriole, saltavo,
ma lei continuava a non guardami. Entrai in casa, presi dall’armadio uno dei
suoi vestiti, lo indossai e tornai in giardino. Per gioco, iniziai a recitare
alcuni versi di film famosi, fingendo di essere Rossella O’Hara, Marylin Monroe
e molte altre… enfatizzando ogni gesto. Mia madre alzò finalmente lo sguardo.
Credo sia stata quella l’unica volta in cui lei mi abbia guardato davvero.
Mentre ero qualcun altro. Pochi mesi dopo, ci lasciò e scappò con un uomo
appena conosciuto. Non so dove sia adesso.»
«Per questo
motivo hai scelto di recitare.» Joe aveva già compreso, prima ancora che io
parlassi. Era sveglio e molto sensibile. «Sai, da quando ho iniziato a fare
pugilato ho capito una cosa. Non devi mai smettere di colpire, perché se ti
volti indietro, anche solo una volta, la vita ti mette al tappeto.»
-CuorediInchiostro
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