ARANCIA MECCANTICA – ANTHONY BURGESS



TRAMA:
Alex è un eroe dei nostri tempi: un teppista sempre pronto a tirar fuori il coltello, capo di una banda di duri che ogni sera, sui marciapiedi dei sobborghi, ripete il gioco della violenza: rapine, stupri, scassi, assalti ai negozi, scontri con altre bande. Finché Alex, che si interessa solo a Beethoven, viene tradito dai suoi amici durante una delle tante sue imprese. Le terapie di rieducazione, non meno violente, lo ridurranno a un'arancia meccanica, in balia delle sue antiche vittime, in una girandola di situazioni grottesche e paradossali.

LA MIA OPINIONE (contiene spoiler):
Arancia meccanica, famoso soprattutto per la trasposizione cinematrografica di Kubrick, è uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi tempi. La forza di questo libro è molteplice e si riscontra su più livelli.
Innanzitutto, la cosa che mi ha colpita già dalla prima pagina del libro è senz’altro la lingua. Burgess non si accontenta del linguaggio comune, ma ha bisogno di crearne un altro. Sperimentatore di linguaggi, unisce lo slang giovanile, al linguaggio slavo e inglese, ma nonostante questo la storia risulta non solo pienamente comprensibile, ma anche molto emozionante. È un linguaggio insomma, che rende a pieno il modo di sentirsi del protagonista. Un altro aspetto senz’altro rilevante è l’impeccabile traduzione in italiano che mantiene alla perfezione la potenza linguistica.
Il personaggio principale è Alex. Alex in questa storia è il cattivo, eppure non è possibile non affezionarsi a lui e non provare tenerezza per lui. Lo incontriamo come leader della sua gang di “soma”, mentre fa di tutto per restare saldo in questo ruolo. Eppure arriva il momento in cui i compagni si ribellano a lui, paura che Alex ha da tempo tanto da sognarselo persino di notte. I compagni si ribellano a lui che reagisce con violenza mentre dentro si sente “tutto frappè”.
Il libro comincia con una notte passata in strada dal gruppo a commettere atti violenti e criminali in giro per la città e all’interno delle case. Proprio in una di queste  intrusioni, precisamente a casa di una donna anziana, Alex non riesce a fuggire, e verrà preso dalla polizia e portato in carcere. È da questo momento che si entra nel vivo della vicenda. È il primo turning point di un libro che si presta per natura ad una trasposizione cinematografica anche grazie ai diversi punti di svolta, e cambi di percezione del protagonista.
La critica più comune fatta al film è stata che voleva essere uno sfoggio gratuito di violenza, mentre invece ciò che si nasconde in questa storia è tutt’altro.
Alex è cattivo per natura e questa sua cattiveria lo porta a affrontare le sfide più difficili, lo porta ad essere completamente solo. Abbandonato prima dai suoi amici, poi dai suoi genitori, poi dalla società intera. È solo, senza casa, vittima di un programma antiviolenza che l’ha imprigionato in se stesso fino al tentativo disperato di farla finita.
La violenza uscirà da lui soltanto dopo, senza bisogno di un programma disumano, ma con una noia interiore che porterà ad avere soltanto voglia di tranquillità, di stabilità. Ciò che prima gli provocava godimento, ora non lo interessa più.
Le ultime pagine del libro sono a mio parere le più belle, pur mantenendo il linguaggio creato da Borgess posso dire che si sfiora la poesia, un distacco malinconico da tutto ciò che un tempo si è stati, per andare verso qualcos’altro. Eppure è solo, la realtà più cruda è ritrovarsi completamente solo in un mondo dominato da una cattiveria che non può essere sconfitta, nel quale non ci si riconosce più.


- Iris-

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