Recensione "Il ritratto che urla" by Edi Guselli
Devo ammettere che quando mi è stata proposta questa recensione (qui trovate la segnalazione) ho tremato un po', dentro di me. Conoscevo già, infatti, Edi Guselli come scrittore di horror, per la sua opera (che ammetto di non aver letto) Ciò che il tempo dimentica. Ho tirato, quindi, un liberatorio sospiro di sollievo nell'apprendere che Il ritratto che urla è, come lo definisce lo stesso autore, un giallo, anche se molto forte, con un livello di tensione alto e, soprattutto, a tinte molto fosche. Non c'è problema, ho pensato. Madre natura, che mi ha giocato un brutto tiro con l'innata incapacità di reggere gli horror a tinte sovrannaturali, ha benevolmente deciso di rimediare concedendomi un'elevata sopportazione degli splatter. Così, confidando nelle mie capacità e carica di curiosità, mi sono data alla lettura del romanzo. Tra le strade di Bologna si muove un brutale assassino, che la stampa ha subito ribattezzato "il Pittore". A seguire le sue tracce vi è l'ispettore Drusiani, affiancato, per la prima volta, dal misterioso nuovo collega, Davide Angelucci. L'inchiesta si svolge nei luoghi della città e della provincia, tra indagini meticolose, mostre d'arte e vicende, pubbliche e private, che intrecciano le vite dei tanti, diversi, personaggi. Si compie, così, un viaggio che è pura immersione nella follia dell'assassino, e che ha origine e termine in un macabro, violento, quadro, che porta in sé, ed urla, il dolore umano. Il libro è sconsigliato a chi si lascia facilmente impressionare dal sangue e dalla violenza, viste le accurate e lecite descrizioni dei brutali assassinii e delle disumane torture. Attraverso il loro utilizzo, infatti, l'autore riesce a creare perfettamente la cupa ambientazione necessaria alle vicende narrate. Il dispiegarsi e l'aggiungersi dei misteri (che vengono, infine, tutti risolti in maniera soddisfacente), inoltre, aumentano la curiosità ed il convolgimento del lettore, che si ritrova incollato alle pagine, vivendo il romanzo accanto ai personaggi. Riguardo questi ultimi, e la loro moltitudine, è bene sottolineare come lo scrittore riesce a caratterizzarli e a collegarli tra loro in modo logico e lineare. Guselli, inoltre, è uno dei pochi autori che ho trovato in grado di utilizzare nomi e cognomi italiani, senza farli risuonare vuoti, inconsistenti, stupidi. È in questo punto che apro una parentesi riguardante l'ambientazione. Come accennato in precedenza, l'intera vicenda si svolge nella città e nella provincia bolognese. Sicuramente, questo è un fattore che aiuta lo scrittore, che risiede nelle sue vicinanze (Cento). Così, egli non solo riesce a scegliere i nomi e i cognomi giusti, propri del luogo, ma anche a giocare con le espressioni dialettali, quando opportune, e a costruire perfettamente la città narrativa. Per chi, come me, ha vissuto ed amato Bologna, è fin troppo facile vivere gli spazi del romanzo sulla propria pelle; affiancando ad ogni passo i personaggi, e vedendo, sentendo e camminando insieme a loro. Ammetto di aver portato una mano al cuore, commossa, nell'incontrare la parola "sporta".
Come in ogni cosa, però, anche in questo libro è bene porre attenzione agli aspetti un po' meno positivi.
(Attenzione, da qui in poi sono presenti spoiler!) Una delle basi della Teoria della Letteratura è il tenere a mente l'esistenza di avvenimenti basilari, che si ripetono in ogni trama di ogni storia, esistente nel tempo e nello spazio. L'abilità dello scrittore si misura, quindi, nel suo saper rendere originali meccanismi abituali e ripetitivi. Ci tengo a sottolineare fin da ora che Guselli dimostra un'adeguata fantasia e creatività, con cui riesce a costruire una degna originalità. Eppure, poiché la scrittura di una storia richiede una costante, vigile, attenzione, può succedere che vi siano momenti in cui l'autore, necessitando di una pausa di riposo in quanto essere umano, abbia un calo della suddetta attenzione. E questo calo, purtroppo, può portarlo a cadere dall'originalità alla banalità. Guselli, però, è bravo nella ripresa, tant'è che anche in quei pochi momenti in cui cala il livello di attenzione, egli è pronto a recuperare il terreno perduto, tornando alla creatività, e arrivando solamente a sfiorare leggermente lo scontato, senza mai caderci davvero.
Giunti a questo punto, mi preme specificare che a me Il ritratto che urla è piaciuto, e non poco; nonostante, personalmente, sia rimasta un po' delusa dal finale. Anche se viene data ogni risposta a ogni singola domanda del libro, infatti, esso resta aperto. Non ho mai particolarmente apprezzato i finali aperti, ma posso capirli. Non credo di poter accettare, però, il non sapere se uno dei personaggi principali, e a cui maggiormente ci si affeziona, sia effettivamente vivo o morto.
Per questo romanzo invento un nuovo voto, ovvero il 3 e 3/4; poiché, nonostante le pecche, resta comunque ben fatto e consigliato.
Buona lettura!
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