Recensione: The Falcon and the Winter Soldier
Siamo nel pieno della Civil War.
Steve Rogers sta baciando Sharon Carter, mentre Bucky e Sam stanno assistendo
la scena dall’interno dell’auto. Bucky chiede a Sam di farsi avanti con il
sedile, ma Falcon risponde con un secco «no.»
Ecco, prendete
questo momento, moltiplicatelo per sei puntate di circa 50 minuti ciascuna e
avrete The Falcon and the Winter Soldier.
Trama:
“The Falcon and The Winter Soldier”
dei Marvel Studios vede protagonisti Anthony Mackie nei panni di Sam
Wilson/Falcon e Sebastian Stan nel ruolo di Bucky Barnes/Il Soldato d’Inverno.
I due, che hanno fatto squadra nei momenti finali di “Avengers: Endgame”, si
alleano in un’avventura intorno al mondo che mette alla prova le loro abilità e
la loro pazienza. Diretta da Kari Skogland con Malcolm Spellman come capo
sceneggiatore, la serie di sei episodi include nel suo cast anche Daniel Brühl (Barone Zemo),
Emily VanCamp (Sharon Carter) e Wyatt Russell (John Walker).
Seconda serie
interamente prodotta dai Marvel Studios e secondo successo. The Falcon and
the Winter Soldier, infatti, ha avuto in assoluto il miglior esordio (fin
ora) sulla piattaforma Disneyplus e alcuni dei suoi episodi hanno
raggiunto la straordinaria valutazione di 100% su Rotten tomatoes. Una
serie, forse, partita un po’ in sordina, con poche aspettative e pubblicizzata
come una sorta di “Arma Letale in stile Marvel” si è rivelata, inaspettatamente,
un vero capolavoro, denso di emozioni e di altissima qualità. Forse è stata
proprio questa la sua forza. Dopo il finale un po’ sottotono di Wandavision
rispetto alle alte aspettative che ci eravamo creati (n.d.r. potete recuperare
la mia recensione qui), il fatto di non aspettarsi molto da questo nuovo
prodotto ci ha permesso di godere dell’esperienza più genuina della visione e
di assaporare maggiormente i momenti di alta qualità della serie.
La storia riparte
dalla fine di Avengers: Endgame, dal momento in cui Steve Rogers, ormai
vecchio dopo aver avuto il suo tanto agognato lieto fine con Peggy Carter,
consegna lo scudo – o, almeno, una nuova versione dello scudo, dato il che il
precedente era andato distrutto nello scontro contro Thanos – a Sam Wilson,
consacrandolo come nuovo Captain America. Sam, però, non si sente pronto,
soprattutto non si sente degno, così sei mesi dopo decide di donare lo scudo al
museo dello Smithsonian perché è convinto che non ci potrà mai essere un altro Captain
America oltre a Steve Rogers. Il governo, però, sembra non essere affatto
d’accordo con lui e affida il titolo del supereroe a stelle e strisce al
soldato pluripremiato John Walker.
Al centro di tutto c’è lo scudo. Lo scudo che passa di mano in mano, che diventa il simbolo del potere, un simbolo che può essere portato solo da chi è degno, quasi una nuova versione del mjolnir. Chi non è degno, chi imbratta quello strumento di difesa usandolo per offendere, lo perde e con esso perde il titolo che porta, proprio come è successo allo stesso Steve Rogers al termine di Captain America: Civil War, quando ha abbandonato lo scudo dopo averlo usato per colpire Tony. Da lì in poi non sarà più Cap, ma Nomad, finché Tony non gli restituirà quel simbolo.
Lo scudo, però,
diventa anche il simbolo della supremazia bianca. “Capelli biondi, occhi
azzurri, stelle e strisce”, come Isaiah definisce Captain America, uno
specchietto del perbenismo americano mentre, negli angoli più oscuri della
storia, uomini di colore venivano sfruttati, torturati, usati come cavie e poi
dimenticati come se non fossero mai esistiti.
Nei giorni del processo per l’omicidio di George Floyd, Disney e Marvel si schierano apertamente a favore dell’uguaglianza e contro il razzismo, lasciando a due personaggi chiave della serie (Isaiah e Sam stesso) il compito di spiegare quanto sia difficile per il mondo accettare un Captain America nero e, al contempo, quanto sia importante avere quel Cap. Le stesse azioni, compiute da un uomo bianco e un uomo di colore, vengono viste in maniera completamente opposta.
Le motivazioni dei Flagsmasher
sono giuste, sono i loro modi – o, più esattamente, i modi di Karli – a essere
sbagliati. Per quanto possiamo odiare John Walker, mettendoci nei suoi panni ci
rendiamo conto che forse non ha poi tutti i torti.
E allora come non c’è
un vero nemico, non c’è neanche un vero vincitore. O, per meglio dire, tutti
vincono a modo loro. Zemo, Karli, Sam, Bucky, Isaiah, Sharon, John… tutti
arrivano al loro scopo, tutti hanno una degna chiusura.
Ecco, una cosa che
ho particolarmente apprezzato in questa serie è che nulla è lasciato al caso.
Ogni dettaglio visto nei primi episodi, per quanto possa risultare banale sul momento,
viene poi ripreso e concluso nel migliore dei modi. Così come ogni singola
frase o dialogo viene studiato nel dettaglio. Non c’è nessuna parola fuori
posto (e in tal senso un plauso va dato anche al doppiaggio italiano che ha
fatto un ottimo lavoro).
The Falcon and the
Winter Soldier è un film travestito da serie tv. Sì, perché non solo le tematiche,
non solo i dialoghi sono di alto livello, ma troviamo un’elevata qualità anche
negli effetti speciali (ad esempio i vari combattimenti aerei di Sam) o nelle
coreografie dei combattimenti. I pugni, i calci, i colpi vari sembrano veri. Il
lavoro degli stunt è stato magistrale.
Parlando dei personaggi,
sono stati tre che, a mio avviso, hanno spiccato più degli altri. Il primo è
stato Bucky. L’ex soldato d’inverno si trova a 106 anni in un mondo moderno,
senza il suo migliore amico, alla ricerca prima di tutto di se stesso. Ecco,
per quanto Sam sia indubbiamente al centro della scena, ho apprezzato molto di
più il percorso di Bucky che torna a essere quello che avevamo conosciuto nel
primo film sull’eroe a stelle e strisce. In più, l’interpretazione di Sebastian
Stan riesce a fare entrare nella testa del sergente Barnes solo con le
espressioni del suo volto.
"Steve credeva in te, si fidava di te, ti ha dato lo scudo per un motivo. Quello scudo è tutto ciò che lui rappresentava, è la sua eredità. L'ha dato a te e tu l'hai gettato via come se niente fosse. Quindi mi sa che si sbagliava su di te e, se è così, si sbagliava anche su di me!"
Bucky Barnes
Poi abbiamo Zemo.
Zemo che avevamo conosciuto in Captain America: Civil War, Zemo che era
stato in grado di mettere gli Avengers l’uno contro l’altro e che aveva e ha
ancora un unico obiettivo nella sua vita: uccidere chiunque abbia il siero del supersoldato.
Quell’unico obiettivo guida le sue mosse per tutto il corso della serie. Zemo
rimane sempre Zemo. Anche quando i suoi gesti sembrano sorprendere lo
spettatore, sono perfettamente coerenti con il suo personaggio. Anche qui, l’interpretazione
di Daniel Brühl contribuisce a dare vigore al personaggio di Zemo.
Infine, abbiamo
John Walker, il personaggio con la maggiore maturazione nell’arco narrativo
della serie. Wyatt Russell e la Marvel hanno fatto un ottimo lavoro con lui.
Tanto odiato nei primi istanti della sua apparizione, si passa dal capirlo all’odiarlo,
poi dall’accusarlo al tifare per lui. Al termine della serie l’unico desiderio
che rimane è quello di rivederlo al più presto per sapere qualcosa di più su di
lui.
Chissà, magari lo
rivedremo nella seconda stagione della serie, quasi anticipata dalla scena dopo
i titoli di coda dell’ultimo episodio, o nel nuovo film su Captain America di cui
si parla in questi giorni o ancora farà nuovamente la sua comparsa in un progetto
sui Thunderbolts, tanto discusso dai fan dopo aver visto questa serie.
Quello che sappiamo
è che i personaggi di The Falcon and the Winter Soldier non hanno smesso
di parlare di loro. Sam, Bucky, Torres, Sharon, Zemo e John hanno ancora molto
da raccontare e a noi non resta che aspettare il prossimo capolavoro della
Marvel.
Alla prossima,
Commenti
Posta un commento