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Presentazione Pestilentia di Stefano Mancini

Trama
Un ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l’inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi superstiti.
Quando la setta eretica della Mors Atra trafuga la più potente reliquia della Chiesa di Nergal, ultimo faro contro la decadenza, padre Oberon si ribella. E convoca Eckhard, devoto cavaliere della Fratellanza. Ispirato dalla fede, questi darà vita a uno spietato inseguimento sulle tracce della ladra Shree e del suo insolito compagno di viaggio, un eretico appartenente alla razza dei gha’unt.

Perché la reliquia va recuperata a ogni costo. O il suo terribile segreto trascinerà nel baratro la chiesa, condannando il mondo all’oblio.





Biografia: 
Stefano Mancini, laureato in giornalismo e iscritto all’Ordine dei professionisti dal 2005, lavora come redattore presso un’importante testata nazionale ed è direttore dell’agenzia “Aragorn servizi editoriali”.
Ha pubblicato l’acclamata trilogia high-fantasy composta dai romanzi Le paludi d’Athakah, Il figlio del drago e Il crepuscolo degli dei (Linee Infinite edizioni, 2013-2015), terza classificata al prestigioso Premio Cittadella 2016. I suoi altri libri sono: La spada dell’elfo (Runde Taarn edizioni, 2010) e Il labirinto degli inganni (AndreaOppureEditore, 2005).



Lasciamo la parola all’autore:

Perché qualcuno dovrebbe leggere il tuo libro?

Beh, il mio parere potrebbe essere di parte, ma trovo che sia una bellissima storia, con un’ambientazione molto particolare e affascinante, un ritmo serrate e dei personaggi molto ben caratterizzati. Penso sempre che la lettura sia anche evasione dalla realtà quotidiana: il mio nuovo romanzo, dunque, penso possa offrire ai lettori qualche ora di piacevole intrattenimento e perché no, anche trasmettere qualcosa.

Che cosa c’è di innovativo e quali sono gli elementi di continuità con il genere o con la tradizione?

Trovo questo romanzo fortemente innovativo, tanto che sarebbe, anche provandoci, difficile classificarlo in un genere specifico. È un po’ fantasy e un po’ distopico; un po’ storico e un po’ thriller. Ogni elemento, tuttavia, è fuso con gli altri in maniera inestricabile e funzionale, in modo che il risultato sia omogeneo e tutt’altro che confusionario. La commistione credo, anzi, che dia un notevole “quid” in più a tutto il libro. Il lettore che si avvicina a “Pestilentia” non si faccia spaventare dal trovarsi di fronte un libro originale, perché mi sento di assicurare che il risultato è valido sotto ogni punto di vista.

Che cosa ti ha spinto a scrivere?

La spinta per la scrittura viene da molto lontano. Questo è il mio settimo romanzo pubblicato, nonché quello che ritengo il migliore per tutta una serie di ragioni. Scrivo da quando sono bambino e fin da allora sogno di fare lo scrittore. Da un paio d’anni questo sogno si è tramutato – seppure solo in parte –, in realtà e per me sarebbe impossibile immaginare una vita senza scrittura.

Da che cosa è nata la storia? Quali sono state le fonti di ispirazione?

La storia nasce da un’idea ben precisa, quella di raccontare un fantasy innovativo, con tinte gotiche e un po’ dark. Mi piaceva soprattutto l’idea di dargli un’ambientazione estremamente caratterizzata, una di quelle che entrasse nella pelle dei lettori e fosse vissuta quasi alla stregua di un vero e proprio personaggio. Poi, come spesso succede, il testo ha preso una sua strada e io non ho fatto altro che seguirla, inserendo via via nuovi elementi.

Quando scrivi? E come? In modo organizzato e continuo o improvviso e discontinuo?

Mi piace scrivere nel pomeriggio. Trovo quel momento il migliore, con il silenzio che mi circonda e la mente che può librarsi da sola dove vuole. Cerco di essere metodico e di non sgarrare, scrivendo tutti i giorni. Non perché sia un peso o un obbligo, ma anzi per l’esatto opposto: perché per me scrivere è soddisfazione e appagamento e quindi più tempo posso dedicargli, meglio mi sento.

Quali strategie hai adottato per promuovere il tuo libro e che tipo di strumenti hai usato – e usi – per proporlo all'attenzione dei tuoi potenziali lettori?

Avendo ormai una certa esperienza in questo campo, di solito mi affido molto al web. Social network, siti internet e blog sono il canale migliore per farsi conoscere e per far conoscere i propri libri. Ed è quello che faccio, attraverso interviste, recensioni e segnalazioni, proprio come in questo caso.

Progetti per il futuro?

Di sicuro c’è l’uscita di un mio nuovo fantasy, di stampo più classico, a ottobre, con la mia storica casa editrice, la Linee Infinite. Sarà il primo di una nuova saga, che riprenderà la stessa ambientazione già vista nella trilogia composta da Le paludi d’Athakah, Il figlio del drago e Il crepuscolo degli dei.

Tre persone da ringraziare

Sicuramente il mio editore Astro Edizioni per “Pestilentia”, nella persona del suo direttore editoriale Francesca Costantino. Poi Cristina Pace, che cura la mia pagina Facebook autore con grandissima capacità. E infine i miei lettori, che con il loro sostegno mi spingono a scrivere sempre di più.


Estratti

Si alza in piedi, si spolvera i calzoni e muove un passo verso il bosco. Poi sembra ripensarci e raccoglie la lancia. Fa quindi per rimettersi in cammino, ma qualcosa lo rallenta.
Si volta. È Derian che lo tiene per la caviglia.
«Che fai? Lasciami!».
Il ragazzo scuote la testa e i capelli intrisi di sudore gli scivolano in avanti, scoprendogli la fronte. «Non... non andare», balbetta.
Qualcosa nell’espressione di Derian convince la guardia a desistere. Torna a guardare verso il bosco dove la nebbia, ora, si è fatta più densa. Non saprebbe dire perché, ma se dovesse descriverla direbbe che la trova minacciosa.
«Ma che... che hai fatto, ragazzo?».
Il labbro inferiore di Derian tremola e una nuova lacrima percorre un solco già tracciato. «Io non volevo, non volevo...».


* * *


«Ce n’è di che rimetterci il collo, idiota! E io non mi sono fatto mangiare un occhio dalla Morte nera per poi farmi uccidere dalla stramaledettissima Chiesa! Questa è roba sacra, roba di quelle per le quali si brucia davvero nelle fiamme dell’Abisso!».
«Vuoi dirmi che uno come te crede in queste cose?».
«No, ma ci credono i chierici e quella è la fine che mi faranno fare, se vengono a sapere che il loro inestimabile tesoro si trova nella mia bottega».
«Inestimabile? Quindi ne conosci il valore!».
Il ricettatore si concesse una mezza risata nella quale però non c’era traccia né di gioia, né di allegria. I suoi occhi, simili a quelli di un furetto, cominciarono a guardarsi intorno nervosi; sembrava quasi che Leif il Marcio stesse fiutando l’avvicinarsi di un pericolo.
«Beh, amico mio. Sei appena entrato in possesso di...».
Shree non seppe mai che cosa Leif stesse per dire, perché uno schianto alle loro spalle tranciò il discorso. Si voltarono all’unisono. Una figura copriva con la sua stazza l’intera larghezza della porta, ora divelta e retta in piedi da un solo cardine cigolante. Alle sue spalle stavano due guardie. Non sembravano molto convinte di quell’irruzione e Leif non ebbe difficoltà a intuirne il motivo; comunque fosse finita quella nottata, lui avrebbe perso due clienti e i due soldati avrebbero perso il loro ricettatore di fiducia.
La testa del garzone fece capolino dal retrobottega. Sembrava essere stato a sonnecchiare fino ad allora, a giudicare dall’espressione spaesata e dagli occhi arrossati.
Per un attimo, lo sguardo di tutti i presenti si posò su di lui.
Poi l’uomo sulla porta allungò un dito in direzione di Shree e Leif.
«Prendeteli! E prendete anche lo schiavo. Se fanno resistenza, uccideteli».


* * *


«Ti stai giocando i tuoi tre scudi, Joren. Non mi stai dicendo nulla di utile».
«Quindi non ti interessa neppure sapere che questa mattina una guardia ha riconosciuto lo schiavo ritardato del Marcio, mentre abbandonava la città insieme a Shree Hildwike?».
«Una donna?!», Vikas avvertì un fremito e si ritrovò a sporgersi verso l’oste.
«Puoi giurarci. Una delle poche in questa maledetta città alla quale metterei volentieri l’uccello in bocca, se non fosse che col caratteraccio che si ritrova sarebbe capace di staccarmelo a morsi.»
«Cos’è, una puttana?», domandò sentendo il cuore aumentare i battiti.
«Magari! Almeno potrei pagarla e scoparmela come si deve. No, è una ladruncola che vive di espedienti. Qualche furtarello, qualche poveraccio lasciato in un vicolo senza un sol... aspetta un attimo! Non dirmi che è stata lei a ridurti così?! Il grande Vikas si è fatto derubare da Shree Hildwike?».
L’oste sembrò sul punto di scoppiare a ridere. L’espressione cupa di Vikas parve però convincerlo a desistere. Si schiarì la voce: «Allora, il regalo al naso è opera sua?».
«E io come faccio a saperlo?! Tu fatti gli affari tuoi e continua a raccontare».
«Non c’è molto altro da dire. Ma se mettiamo insieme tutti i pezzi, mi pare strano che quella sgualdrinella lasci la sicurezza, seppur minima, di Valissa, senza una valida ragione, no? A meno che, dopo tutto il parapiglia causato dalla morte del Marcio, non abbia paura di venire braccata. Mi pare che il ragionamento fili».
«Fila eccome...», sussurrò rivolto ormai solo a se stesso.
«Quindi vuoi fargliela pagare per quel naso rotto? Non posso darti torto, deve fare un male cane».
Immerso nei suoi pensieri, Vikas avvertì solo in parte le parole dell’oste. «Come? Ah sì, sì... certo che voglio fargliela pagare. Mi ha rotto il naso e mi ha derubato. Voglio metterle le mani addosso e farle passare la voglia di giocare con i grandi».
«E abbandoneresti Valissa solo per un po’ d’oro? Sicuro che ne valga la pena? Dai retta a me, resta qui, quella ragazzina non ha speranze là fuori. Se proprio dovesse farcela, prima o poi ritornerà e tu sarai qui ad aspettarla».
«No, voglio regolare subito questo conto. E ora dimmi, in che direzione è andata?».
«Bah, contento te... Si è diretta a Nord. Forse sta scappando da te, voi tagliagole fate spesso terreno bruciato, intorno a voi...». L’oste non mostrò alcuna remora a dire quello che pensava.
Dal canto suo, Vikas non sembrò colpito dall’accusa. Prese invece un sacchetto di cuoio e ne tirò fuori due scudi di rame. Li posò sul bancone e guardò Joren.
«Così non va bene, avevi detto tre...».
«Questi mi paiono più che sufficienti. Ho avuto una nottataccia, metà l’ho passata sdraiato nella merda e l’altra metà a farmi massacrare il naso da un macellaio che si spacciava per un chirurgo. Ho voglia di sfogarmi un po’ e preferirei farlo con quella puttana. Ma se tu non sei d’accordo, possiamo vedercela io e te».
«Non mi sei mai piaciuto. Ma non c’è più nulla in questo schifo di città per cui valga la pena morire, nemmeno il tuo denaro. Perciò lasciami quei due scudi di rame e vattene. Il fetore della merda dove hai dormito non se n’è ancora andato e mi sta appestando la locanda».
Vikas si prese gioco di lui omaggiandolo con un ostentato cenno della testa, in un’assurda imitazione di gesti che aveva visto compiere ai sacerdoti di Nergal. Poi abbandonò lo sgabello e lasciò la locanda.
Meno di mezz’ora dopo, si era lasciato il tanfo di Valissa alle spalle.



-CuorediInchiostro




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