recensione: L'alienista e the Rain
Partiamo dal fatto che, queste due serie, non hanno nulla in comune tranne l'essere targate Netflix.
In questo periodo però, mi sembrano decisamente più allettanti le trame che offrono le protagoniste del piccolo schermo - non più in realtà "piccolo" - rispetto a i film che troviamo al cinema.
Tolto Avengers: Infinity War per cui potrei stare a scrivere per ore, cercando di farvi capire perchè mi abbia completamente delusa, non ci sono molte pellicole che mi hanno attirata di questi tempi e le prossime che devono arrivare sono sempre sui super eroi... che noia. Ed ecco quindi l'ancora di salvezza. Netflix.
Iniziamo con L'alienista.
Con un cast di tutto rispetto sono andata sul sicuro, chiedendomi perchè vedessi ovunque sponsorizzata "Lost in Space" quando questa per la recitazione a prescindere, merita enormemente. Da notarsi che di LiS ho visto solo qualche scena, quanto basta per farmi storcere il naso, ma perseverare delle volte occorre come per The rain di cui parleremo a breve.
Quindi con l'alienista abbia Dakota Fanning, donna dalla poker face che probabilmente riesce a tenere anche di notte... ma che dietro tale maschera è fragile e cela tutto un ventaglio di emozioni umane. Interessante personaggio che si batte per i pari diritti delle donne, o che quanto meno ci prova, dato che siamo ancora nel 1896, e lavora alla stazione di polizia di New York. Prima a riuscire ad ottenere un simil lavoro, rimarrà invischiata nelle investigazioni di Dr. Laszlo Kreizler (Daniel Bruhl). Il nostro Doc è una sorta di pioniere, o anche lui quanto meno tenta di esserlo, nel campo della psicologia. In realtà ha più complessi dei suoi clienti per tanti aspetti, non è quindi poi così strano che il nostro alienista cerchi di empatizzare con un altro alienato dalla società, il nostro serial killer, che si accanisce su giovani ragazzi da tratti femminili. Al fianco del dottore c'è John Moore, uno dei principali motivi per cui ho iniziato la serie, oltre alla ambientazione fantastica. Interpretato da Luke Evans, il nostro amico John è un alcolizzato, illustratore che lavora per giornali e privati, che si ritrova a disegnare i macabri resti delle vittime dei serial killer, divenendo così talvolta gli occhi di Laszlo, talvolta le sue orecchie quando bazzica per i bassi fondi di New York.
Quindi recitazione: fantastica
set: fantastico
storia... ni. Buona perchè ha fondamenti storici, ma per il resto non vi è poi la smania di conoscere sino in fondo chi sia il serial killer, dato che non è nessuno dei protagonisti ma un attore che vedremo si e no in tre scene alla fine.(Avrebbe molto da imparare da HTGAWM sotto tale aspetto) C'è quindi un calo notevole di attenzione da parte dello spettatore, dato che il pathos è quasi nullo a volte. Alla fine vengono tra l'altro lasciati vari punti in sospeso e diverse domande.
Serie tratta dal libro di Caleb Carr, edito dalla Newton.
Ed ecco che da un binge watching ci tuffiamo a un altro, The Rain, prima serie danese.
L'avete letto il cast con cui avevo a che fare prima, no? Le prime due puntate di The Rain sono state infernali.
Nel primo episodio vediamo una ragazza, Simone Andersen, che, a breve, deve affrontare un esame di gruppo a scuola. Come nelle più disperate fantasie di ogni studente, arriva il padre di questa e le dice che devono andarsene (yeeeeeh), dato che le che sta per iniziare a piovere... okay, aspetta, e quindi? Tralasciando il fatto che con una motivazione così stupida questa si fa trascinare da un uomo, che pare sotto allucinogeni, va bene. Infondo è suo padre.
Ovviamente una volta che la famiglia è tutta riunita in macchina (madre, padre, fratello minore Rasmus) perchè non far accadere un bel incidente, dove yeah sopravvivono tutti, ma la famiglia Andersen blocca la tangenziale e quindi la fuga a, probabilmente, migliaia di persone.
Ma chi se ne frega, loro hanno raggiunto il bunker e stanno tutti e quattro bene.
Per ora.
Io non stavo bene, nel frattempo, dato che ogni battuta del bambino che interpreta Rasmus, sembrava fatta apposta per mettermi le mani nel sangue. Dialoghi così stupidi che ero lì per abbandonare tutto. E Simone non era poi tanto meglio, ma è stato probabilmente grazie a lei che ho iniziato ad avvertire qualche cambiamento e dare una possibilità alla serie.
La vera svolta l'abbiamo con la crescita di Rasmus e quindi la sostituzione dell'attore, che oltre a saper recitare meglio, non è neanche niente male. La storia vede i due fratelli, per un motivo o per un altro, restare nel bunker da soli per 6 anni fino a che qualcuno non fa irruzione.
La storia diventa più avvincente una volta fuori e tratta diversi elementi fondamentali per il genere di sopravvivenza/ apocalittico. Ricerca di armi, di cibo, legami che si creano con sconosciuti e quelli che hanno, per la miliardesima volta, l'aria di essere degli zombi.
Sono solo otto episodi, quindi pochi, ma oltre ai due fratelli Andersen ( Rasmus come personalità è molto simile a Shinji di Evangelion... e non è assolutamente un complimento sappiatelo) non conosciamo davvero molto degli altri personaggi che incontreremo. Abbiamo qualche flashback, quindi qualche loro episodio rilevante del passato ci viene mostrato (tutti eventi traumatici, o che finiscono per divenire tali) , ma la produzione pare dell'opinione che quelli con
cui abbiamo a che fare sono solo semplici ragazzini, il cui cambiamento causato dall'improvviso pericolo della pioggia (trasforma in zombi...quanto sarebbe stato divertente se fosse avvenuto in Dark, dato che non avevano un ombrello a pagarlo) è molto più interessante.
Recitazione quindi da rivedersi un attimo, ma all'ottavo episodio vi siete completamente dimenticati che guardate qualcosa di danese.
Il set è costituito per lo più da boschi e bunker, nulla di speciale.
La storia è carina, ma sembra molto la versione danese di Maze Runner. Per certi versi finisce pure in modo simile al primo. C'è anche qui l'ossessione per una cura, i fantastici muri per cui la Wicked ha un amore che non si spiega e ovviamente legami d'amore e tradimento. Ma non c'è Newt, nè Thomas. Okay la chiudo qui... anche se pure qui abbiamo la nostra "Teresa" per certi aspetti. Beatrice è uno dei personaggi su cui avrei voluto avere maggiori spiegazioni. Chissà, se e quando uscirà la seconda stagione, ma credo la guarderò, dato che riesce al contrario dell'alienista, a mantenere sempre alto il livello di tensione.
In questo periodo però, mi sembrano decisamente più allettanti le trame che offrono le protagoniste del piccolo schermo - non più in realtà "piccolo" - rispetto a i film che troviamo al cinema.
Tolto Avengers: Infinity War per cui potrei stare a scrivere per ore, cercando di farvi capire perchè mi abbia completamente delusa, non ci sono molte pellicole che mi hanno attirata di questi tempi e le prossime che devono arrivare sono sempre sui super eroi... che noia. Ed ecco quindi l'ancora di salvezza. Netflix.
Iniziamo con L'alienista.
Con un cast di tutto rispetto sono andata sul sicuro, chiedendomi perchè vedessi ovunque sponsorizzata "Lost in Space" quando questa per la recitazione a prescindere, merita enormemente. Da notarsi che di LiS ho visto solo qualche scena, quanto basta per farmi storcere il naso, ma perseverare delle volte occorre come per The rain di cui parleremo a breve.
Quindi con l'alienista abbia Dakota Fanning, donna dalla poker face che probabilmente riesce a tenere anche di notte... ma che dietro tale maschera è fragile e cela tutto un ventaglio di emozioni umane. Interessante personaggio che si batte per i pari diritti delle donne, o che quanto meno ci prova, dato che siamo ancora nel 1896, e lavora alla stazione di polizia di New York. Prima a riuscire ad ottenere un simil lavoro, rimarrà invischiata nelle investigazioni di Dr. Laszlo Kreizler (Daniel Bruhl). Il nostro Doc è una sorta di pioniere, o anche lui quanto meno tenta di esserlo, nel campo della psicologia. In realtà ha più complessi dei suoi clienti per tanti aspetti, non è quindi poi così strano che il nostro alienista cerchi di empatizzare con un altro alienato dalla società, il nostro serial killer, che si accanisce su giovani ragazzi da tratti femminili. Al fianco del dottore c'è John Moore, uno dei principali motivi per cui ho iniziato la serie, oltre alla ambientazione fantastica. Interpretato da Luke Evans, il nostro amico John è un alcolizzato, illustratore che lavora per giornali e privati, che si ritrova a disegnare i macabri resti delle vittime dei serial killer, divenendo così talvolta gli occhi di Laszlo, talvolta le sue orecchie quando bazzica per i bassi fondi di New York.
Quindi recitazione: fantastica
set: fantastico
storia... ni. Buona perchè ha fondamenti storici, ma per il resto non vi è poi la smania di conoscere sino in fondo chi sia il serial killer, dato che non è nessuno dei protagonisti ma un attore che vedremo si e no in tre scene alla fine.(Avrebbe molto da imparare da HTGAWM sotto tale aspetto) C'è quindi un calo notevole di attenzione da parte dello spettatore, dato che il pathos è quasi nullo a volte. Alla fine vengono tra l'altro lasciati vari punti in sospeso e diverse domande.
Serie tratta dal libro di Caleb Carr, edito dalla Newton.
Ed ecco che da un binge watching ci tuffiamo a un altro, The Rain, prima serie danese.
L'avete letto il cast con cui avevo a che fare prima, no? Le prime due puntate di The Rain sono state infernali.
Nel primo episodio vediamo una ragazza, Simone Andersen, che, a breve, deve affrontare un esame di gruppo a scuola. Come nelle più disperate fantasie di ogni studente, arriva il padre di questa e le dice che devono andarsene (yeeeeeh), dato che le che sta per iniziare a piovere... okay, aspetta, e quindi? Tralasciando il fatto che con una motivazione così stupida questa si fa trascinare da un uomo, che pare sotto allucinogeni, va bene. Infondo è suo padre.
Ovviamente una volta che la famiglia è tutta riunita in macchina (madre, padre, fratello minore Rasmus) perchè non far accadere un bel incidente, dove yeah sopravvivono tutti, ma la famiglia Andersen blocca la tangenziale e quindi la fuga a, probabilmente, migliaia di persone.
Ma chi se ne frega, loro hanno raggiunto il bunker e stanno tutti e quattro bene.
Per ora.
Io non stavo bene, nel frattempo, dato che ogni battuta del bambino che interpreta Rasmus, sembrava fatta apposta per mettermi le mani nel sangue. Dialoghi così stupidi che ero lì per abbandonare tutto. E Simone non era poi tanto meglio, ma è stato probabilmente grazie a lei che ho iniziato ad avvertire qualche cambiamento e dare una possibilità alla serie.
La vera svolta l'abbiamo con la crescita di Rasmus e quindi la sostituzione dell'attore, che oltre a saper recitare meglio, non è neanche niente male. La storia vede i due fratelli, per un motivo o per un altro, restare nel bunker da soli per 6 anni fino a che qualcuno non fa irruzione.
La storia diventa più avvincente una volta fuori e tratta diversi elementi fondamentali per il genere di sopravvivenza/ apocalittico. Ricerca di armi, di cibo, legami che si creano con sconosciuti e quelli che hanno, per la miliardesima volta, l'aria di essere degli zombi.
Sono solo otto episodi, quindi pochi, ma oltre ai due fratelli Andersen ( Rasmus come personalità è molto simile a Shinji di Evangelion... e non è assolutamente un complimento sappiatelo) non conosciamo davvero molto degli altri personaggi che incontreremo. Abbiamo qualche flashback, quindi qualche loro episodio rilevante del passato ci viene mostrato (tutti eventi traumatici, o che finiscono per divenire tali) , ma la produzione pare dell'opinione che quelli con
cui abbiamo a che fare sono solo semplici ragazzini, il cui cambiamento causato dall'improvviso pericolo della pioggia (trasforma in zombi...quanto sarebbe stato divertente se fosse avvenuto in Dark, dato che non avevano un ombrello a pagarlo) è molto più interessante.
Recitazione quindi da rivedersi un attimo, ma all'ottavo episodio vi siete completamente dimenticati che guardate qualcosa di danese.
Il set è costituito per lo più da boschi e bunker, nulla di speciale.
La storia è carina, ma sembra molto la versione danese di Maze Runner. Per certi versi finisce pure in modo simile al primo. C'è anche qui l'ossessione per una cura, i fantastici muri per cui la Wicked ha un amore che non si spiega e ovviamente legami d'amore e tradimento. Ma non c'è Newt, nè Thomas. Okay la chiudo qui... anche se pure qui abbiamo la nostra "Teresa" per certi aspetti. Beatrice è uno dei personaggi su cui avrei voluto avere maggiori spiegazioni. Chissà, se e quando uscirà la seconda stagione, ma credo la guarderò, dato che riesce al contrario dell'alienista, a mantenere sempre alto il livello di tensione.
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