Recensione: Red Sparrow di Jason Matthews
Bella, intelligente, intuitiva, votata alla disciplina più ferrea e imbevuta di ideali patriottici. Nella Mosca di oggi, dove nessuno fa più finta di credere che la Guerra fredda sia finita davvero, Dominika Egorova sembra nata per fare la spia. Se non fosse per il carattere impetuoso, che non sempre le riesce di dominare. Quando il padre muore senza preavviso e un brutto incidente la costringe a lasciare l’accademia di danza, Dominika si ritrova invischiata in un gioco la cui portata non sospetta neppure. Lo zio, potente vicedirettore dell’SVR, vede in lei la candidata ideale a diventare una “sparrow”, un’agente segreta specializzata in sofisticate tecniche di seduzione e manipolazione dell’avversario. Ciò che Dominika non può immaginare è la vertiginosa spirale di inganni, violenza, doppio gioco e passione nella quale si ritroverà suo malgrado a sprofondare. E il travolgente passo a due che la vedrà schierata ora contro, ora al fianco di Nate Nash, agente CIA dal carattere schivo ma determinato.
Mai sentito parlare del blocco del lettore? Un assiduo
lettore, che si imbatte presso ché ogni giorno in pagine che narrano
racconti, può essere subissato e nauseato dall'inchiostro, arrivando a mettere
da parte la lettura per qualche tempo. Bene, delle volte, non è colpa delle
troppe emozioni che i libri scaturiscono in noi, ma dell’ultimo volume che
abbiamo riposto sul comodino.
Troppo bello e imbattibile, troppo noioso da farci
addormentare. Purtroppo nel caso di questo romanzo è il secondo.
Con Red Sparrow sono partita piena di aspettative. Era
ovunque, la trama sembrava ricordare la storia della Vedova Nera e vi sarebbe uscito
di lì a poco un film. La ciliegina sulla torta? La trilogia è già completa in
lingua originale (inglese) e l’autore non è il classico a passionato di
spionaggio, ma un ex lavoratore della CIA.
Cos’è andato quindi storto?
Per cominciare il metodo di scrittura. Ci sono tanti modi
per far appassionare il lettore a una cultura, ma quello usato da Matthews non
funziona, anzi. Si pone di scrivere semplicemente le parole russe, seguite
dalla traduzione e il significato di queste, e non lo fa con una o due, ma con
un micro vocabolario che non nego aver testato la mia pazienza, dato che fa
perdere di autenticità i dialoghi.
La storia, anche se di spionaggio, ha un ritmo lentooooo. Ha
una cadenza che non coinvolge e lascia il dubbio se valga o meno girare la
pagina, rendendolo un grandissimo sforzo fisico. Si salva giusto in pochi frangenti, quando l’esperienza di Matthews
salta all'occhio e si capisce che sa di cosa sta parlando, ma gran parte del
romanzo è farcito di personaggi che a nulla servono se non per far allungare la
lista dei protagonisti, con psicologie che non si ritrovano ad avere neppure
sotto le scarpe.
Il sesso. Non ho nulla contro i libri che riportano scene
sessuali, riferimenti e quant’altro, ai fini del racconto, ma qui è spesso
accomunato a ricette gastronomiche. Avete letto bene, non sto neppure a
spiegarvi un tale paradosso, dato che non è un libro su pentole e padelle.
Invece, ecco che fanno capolino a ogni fine capitolo e ti sorge un’unica
domanda esistenziale, “perché?!”
E infine la sinestesia, il potere della protagonista di
vedere le auree delle persone e capire come agiranno in futuro. L’ho chiamato
potere perché: a) rende Dominika più simile a Wonder Woman che a James Bond e
b) perché è l’unica cosa che fa funzionare tutto, togliete quello e libro cade
peggio di un castello di carte.
In sostanza se proprio dovete interessarvi a tale storia
guardate il film, non può essere peggio.
Lost Inside My Universe
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