Recensione: Soul
Salve, specchietti.
A pochi giorni dalla fine dell’anno,
siamo ancora in tempo per godere di un capolavoro Disney-Pixar: Soul.
Inizialmente pensato per l’uscita al
cinema (a giugno in America e settembre in Italia), a seguito della pandemia è
stato dapprima posticipato, poi distribuito tramite il servizio di streaming Disneyplus.
Ma vediamo nel dettaglio di che cosa
parla questa storia:
Joe Gardner ha sempre desiderato diventare
un grande jazzista, sin dal giorno in cui suo padre l’ha portato in un locale
jazz di New York e lui si è innamorato di quella musica. Ma la vita non è stata
clemente con Joe. Infatti, si ritrova intrappolato in una scuola media a
insegnare musica a un gruppo di ragazzini a cui della musica non interessa
proprio nulla. A parte Connie… Connie sembra davvero essere dotata, sembra
avere quella scintilla che Joe avverte in se stesso. Per di più, Joe non ha una
donna, se si esclude l’ingombrante presenza di sua madre, sempre pronta a
giudicare il suo operato e, soprattutto, a criticarlo per quei sogni che non
potrebbero mantenerlo come un contratto a tempo indeterminato con la scuola.
- La musica è il mio pensiero fisso dal momento in cui mi sveglio la mattina al momento in cui mi addormento la sera.- I sogni non li mangi a colazione, Joey.- Allora non mangerò. Senti, qui non si parla della mia carriera, mamma, ma della mia ragione di vita.
Le cose per Joe cambiando quando un
suo ex alunno, a cui lui è riuscito a trasmettere la passione per la musica, lo
chiama per entrare nel quartetto di Dorothea Williams, star del jazz. È la sua
grande occasione. Dorothea, il suo idolo, ha notato il suo talento e gli ha
chiesto di suonare con lui. Come Joe stesso dice, è quell’occasione che aspetti
da tutta una vita e per cui, dopo, potresti morire felice.
Dov’è la fregatura, direte? Joe muore
prima di potersi esibire con Dorothea Williams. Ha passato tutta la vita
in attesa di quel momento e quando è arrivato, la sua vita è finita.
No, non temete, non vi ho appena
raccontato tutto il film, ma solo quei cinque minuti che ci sono prima dei
titoli di testa. Le stesse immagini che noi vediamo nel trailer, infatti, non
sono altro che i primi dieci-quindici minuti di film. Il resto è tutto da
scoprire.
Così, dicevamo, Joe è morto senza
aver assaporato quell’unica gioia nella sua triste vita. Potrebbe mai
rassegnarsi? E voi vi sareste rassegnati al posto suo? Ovviamente no. Quindi
cerca di fuggire e, nel farlo, precipita nell’Ante-mondo, anche chiamato “Io
Seminario”. È qui che le anime non ancora nate vengono preparate alla vita:
viene data loro una personalità e, soprattutto, un mentore aiuta loro a trovare
la scintilla per ispirare la loro vita.
Qui Joe conosce 22. 22 è una delle
anime che si trovano nell’Io Seminario da più tempo. Ha completato tutti i
passaggi per avere il pass per la Terra, ma nessun mentore è mai riuscito a
farle trovare la scintilla. Eppure, ha avuto mentori illustri: Madre
Teresa, Ghandi, Lincoln, Archimede… finché, per errore, non viene assegnata a
Joe. Dopo tali colossi, può un uomo con una vita così grigia, così triste,
farle trovare la scintilla?
Joe, ormai non so più da quanto sono qui e non c’è nulla che mi abbia invogliato a vivere. E poi sei arrivato tu. La tua vita è triste e patetica, ma stia facendo i salti mortali per riaverla. Perché?
Chiariamo subito: “Soul” non è un
film per bambini. Certo, anche nelle basse fasce d’età si può godere di quell’aria
di jazz che ci ha già accompagnato con “La principessa e il ranocchio”, si può
ridere con le divertenti gag che coinvolgono Joe e 22, si può essere
meravigliati dall’Ante-Mondo e dai bizzarri modi di fare di Gerry e Terry, tuttavia
soltanto un adulto può comprendere appieno il significato di questo
lungometraggio.
D’altronde, i creatori di “Soul” ci
avevano già portato all’interno della psicologia umana con quel capolavoro di “Inside
Out”. Se il senso di “Inside Out” era quello di prendere consapevolezza delle
proprie emozioni e di saperle esprimere tutte, dando importanza a ciascuna di
loro, il senso di “Soul” è… è il senso della vita stessa.
Joe è il prototipo di ognuno di noi, insoddisfatti
della nostra vita, alla ricerca di qualcosa di più, di quel sogno che ci
portiamo dietro da anni. Quanti di noi, se morissero in questo esatto momento,
potrebbero dire di aver realizzato il loro scopo? “Soul” ti mette di fronte a
questa consapevolezza, ti fa sbattere ad alta velocità contro un muro di
cemento, ti chiede a gran voce: «Che cosa hai fatto fino ad ora? Puoi dire di avere davvero vissuto? O ti
sei limitato a esistere?»
Era dai tempi de “L’attimo fuggente”,
da quel «Carpe Diem» sussurrato da Robin Williams nei
corridoi del collegio Welton che non vedevo un film capace di scuotere l’animo
così nel profondo.
Ti dicono che sei nato per fare una cosa, ma come capisci che è quella giusta? E se scegli la cosa sbagliata? O quella di qualcun altro? Poi resti intrappolato.
Insomma, “Soul” è il film ideale per
fare un bilancio di fine anno, per capire a che punto è la nostra vita e per
dare una svolta al momento giusto. “Soul” ci ricorda che non dobbiamo limitarci
ad andare avanti alla spasmodica ricerca di un evento eccezionale, ma che ogni
singolo momento della nostra esistenza è qualcosa che vale la pena di essere
vissuto.
Cinque specchi ben meritati per questo
capolavoro della Pixar che, come sempre, non delude. Anzi, con questo lavoro è
riuscita a superare le aspettative già alte generate dal trailer e dalle prime
immagini promozionali. Unica pecca non essere riuscita a gustarlo al cinema,
nella speranza di poterlo fare al più presto.
Se non l’avete ancora visto, correte
a recuperarlo, fazzoletti alla mano. Noi ci rileggiamo… l’anno prossimo.
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