Recensione "We Are the Ants" by Shaun David Hutchinson


Non importava perché gli alieni avessero scelto proprio me, solo che mi avevano scelto.
Diamine, perché aspettare la fine del mondo?
Diego si sbagliava. Premere il pulsante non mi avrebbe portato delle scelte. Solo questo. Solo umiliazione. Solitudine.
Morire era più facile.
Avrei potuto spingermi all'indietro e lasciare che il peso mi gettasse in acqua. La gravità avrebbe fatto il resto. 
Sarebbe finito tutto, e tutto quello che avrei dovuto fare era lasciare che succedesse.

We Are the Ants è un romanzo young adult di 451 pagine. Scritto da Shaun David Hutchinson, già conosciuto per altri titoli YA, è stato pubblicato per la prima volta negli U.S.A. dalla Simon Pulse (Simon & Schulster Children's Publishing Division) nel gennaio 2016, e ne sono seguite diverse riedizioni. Inoltre nell'agosto 2016 è stato pubblicato, solo in formato ebook, What We Pretend to Be, un racconto di sole 26 pagine che funge da prequel. In Italia, però, entrambi i titoli sono ancora inediti.

Ci sono alcune cose che Henry Delton conosce bene, e altre che ignora. Henry sa che sua madre sta lottando per tenere insieme la famiglia, e che riesce ad affrontarlo solo fumando una sigaretta dopo l'altra. Sa che il fratello maggiore ha lasciato il college e che la sua ragazza è incinta. Sa che sta lentamente perdendo sua nonna a causa dell'Alzheimer. E sa che il suo ragazzo si è suicidato lo scorso anno.
Ma Henry non sa perché gli alieni hanno scelto di rapirlo quando aveva tredici anni, e non sa perché continuino a prenderlo dal suo letto per portarlo sulla loro astronave. Non sa perché il mondo sta per finire, né perché gli alieni gli hanno dato l'opportunità di fermare l'apocalisse premendo un grosso pulsante rosso.
Ma è successo. E Henry ha solo 114 giorni per prendere una decisione. La vera domanda è se pensa che il mondo merita di essere salvato. Finché non incontra Diego Vega, un artista con un passato misterioso che porta Henry a interrogarsi su ciò in cui crede, su quale sia il suo posto nell'universo, se qualcosa di tutto questo ha davvero importanza. Ma prima di poter salvare il mondo, Henry deve capire come salvare se stesso. E gli alieni non gli hanno dato un pulsante per questo.

Chiariamo una cosa fin dall'inizio: io questo libro l'ho amato alla follia. No, non è solo questo. Non ho mai pianto tanto per un romanzo come è successo per questo; non mi sono mai ritrovata così tanto tra delle pagine come con queste. Non ho mai trovato altro che mi parlasse dentro come questo. Non so se è riuscito a salvarmi; non so se mi ha convinto a salvarmi. Non so se merito di essere salvata. Ma so di non essere sola. So di non essere rotta, che non c'è solo buio in me. E questo... questo è immenso.

Partiamo dall'inizio. Henry è un adolescente che da alcuni anni viene rapito dagli alieni. Non sa cosa vogliano da lui, né perché proprio lui. Ma succede, e ovviamente non gli rende la vita affatto facile. Eppure We Are the Ants non è un romanzo fantascientifico, ma uno young adult. Il punto principale è se il mondo merita o meno di essere salvato; gli alieni sono solo una componente, un escamotage narrativo in un certo senso.
Mi piace come l'autore gestisce questo aspetto, ricordandosi che è un elemento secondario che non può rubare eccessivamente la scena. Approfondendolo e curandolo come merita e come necessita. Riuscendo a trovare esattamente il giusto spazio e tempo. Shaun David Hutchinson è bravissimo a gestire e dosare i tanti, diversi, ingredienti della sua storia.

Henry è anche un ragazzo che porta pesi immensi, molto più grandi di lui: il suicidio del fidanzato, la malattia della nonna, la famiglia complicata... Henry ha tutte le motivazioni per non voler premere il pulsante. E anche qui la scrittura e la sensibilità dell'autore sono stupefacenti.
Tutto il male e tutto il dolore di Henry e degli altri personaggi (tutti analizzati e approfonditi, ognuno a modo proprio) vengono mostrati e presentati così come sono. Shaun David Hutchinson non scade mai in toni pietistici, perché lo scopo non è commuovere ma capire e interrogarsi. Non si azzarda mai a minimizzare o sminuire, perché il dolore ha una sua dimensione che va rispettata, e anche il male ha una sua motivazione. Sbagliata, certo, ma pur sempre una motivazione.

Ma Henry è anche un ragazzo che nonostante il male, nonostante il dolore, cerca ancora un perché per premere il pulsante. Non si limita solo a non premerlo, archiviando la questione: non smette di cercare. Henry non vuole più vivere, ma non vuole neanche morire. Perché è forte? Per codardia? Su questo mi riservo il diritto di lasciare il quesito aperto.

Non so in quanti ci siamo ritrovati, almeno una volta, nei panni di Henry. Non so quanto sia comune arrivare a desiderare di morire, continuando a chiedersi se c'è ancora un motivo per vivere. Ma so che la depressione è una malattia reale, anche se se ne parla sempre troppo poco, anche se è facile che venga sminuita. So che il male e il dolore sono reali e, a volte, sono troppo. Ma alcune, altre volte, resta ancora una sorta di speranza, una vocina che non smette di chiedersi perché?.
Perché noi siamo le formiche, e continuiamo ad avanzare.
Buona lettura!





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