Recensione: Black Mirror: Bandersnatch - Film Originale Netflix

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"Tutti pensano che esista una realtà, ma ne esistono tante"
                                                                                  -Colin Ritman

Trama: 
Inghilterra, 1984. Il giovane programmatore Stefan Butler lavora al progetto Bandersnatch, adattamento videoludico del librogame omonimo. Vive con il padre, che si mostra fin da subito molto apprensivo nei suoi confronti.
La storia ha inizio il giorno in cui Stefan presenta la demo alla Tuckersoft. Il direttore, Mohan Thakur, gli presenta Colin Ritman e assieme assistono alla prova. Thakur decide di dare una possibilità a Stefan: potrà produrre il proprio videogioco.

Recensione: 
Black Mirror: Bandersnatch è un film originale Netflix del 2018,  scritto da Charlie Brooker e diretto da David Slade -praticamente un René Ferretti britannico, nel senso che ha diretto sia cose belle che bruttissime-. Bandersnatch viene considerato parte della serie Black Mirror, sebbene sia un lungometraggio.
La particolarità -e il difetto- di Bandersnatch è che è un film interattivo. L'idea mi piaceva, ma dopo aver "giocato" mi sono sentita un po' confusa.
Qual è il punto? Qual è la trama? Perché esistono dei game over?
Che Black Mirror sia una di quelle serie che ti accendono la testa è innegabile, questo però non significa che bisogna rendere di difficile comprensione ogni cosa per farla sembrare straordinaria. Un po' come Donnie Darko: piace a tutti, ma nessuno c'ha capito un cazzo. Perché dovrei dire che l'ho apprezzato se non l'ho capito? Perché sì, al contrario di moltissime menti eccezionali, pronte a esprimere a gran voce tutta la loro stima, io ammetto con onestà di non aver compreso appieno. Andiamo con ordine, comunque.
Non penso di averlo mai scritto in nessuna recensione, ma sono innamorata di giochi come Heavy Rain e Beyond: Two Souls -entrambi figli della fantastica Quantic Dream-. Insomma, avere in mano il potere di condizionare l'esisto della storia mi entusiasma. Il mio problema, dunque, non è l'interattività. O meglio, sì, è quello il difetto più grande, ma il motivo non risiede nei miei gusti personali. Semmai, si tratta -forse- di un mio limite.
Bandersnatch passa da scelte povere di conseguenze -Quali cereali preferisci?- a scelte di estrema importanza -Mi butto io o tu butti tu?-. E fin qui, tutto normale.
In Life Is Strange, per esempio, non si può tornare indietro e fare altre scelte, non dopo essere andati mooolto avanti. Al contrario, in Bandersnatch esiste una cosa che per questo genere di avventure interattive è la morte: il gameover. Se prendi la decisione sbagliata, infatti, ti riporta al momento/ai momenti -perché, eventualmente, puoi scegliere tra i due- in cui hai mandato tutto a scatafascio. E no, non mi sto lamentando dei possibili finali: parlo di quei momenti in cui il "gioco" finisce subito e Stefan dice cose come "Devo tentare di nuovo". Non so, sarò io nel torto di certo, però trovo che sia insensato.
Altro problema: troppi finali discordanti. "Ci sono più realtà, ognuna con una propria storia". Eh, ok, bravi, bella filosofia, clap clap, ma devi anche sapertelo gestire un mondo così vasto.
So che non è affatto facile e in ogni caso il tentativo è assolutamente apprezzabile, ma manca qualcosa. Non mi convince.
Io ve lo consiglio perché preannuncia comunque delle novità interessanti nel mondo dell'intrattenimento, televisivo e non.




  

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