Recensione ‘Carrie’ di Stephen King
‘Carrie’, il primo romanzo pubblicato da Stephen King, è stata la mia compagnia durante il viaggio di ritorno a casa per il weekend.
Una macabra compagnia con cui trascorrere un viaggio, starete pensando! Non per
fare la pappa molla, devo ammettere di aver fatto qualche incubo inspiegabile
quella notte. Insomma, sarà stato perché è un genere che non avevo mai
sperimentato prima, o per il nervosismo del viaggio in treno, o anche per
averlo letto così in fretta, non fa troppo bene, magari… ok no, sono una pappa molla impressionabile
e ultramegasensibile, fine della storia. Bando alle ciance, veniamo alla
recensione. Carrie è un’adolescente che vive una situazione oltremodo delicata:
a scuola è sempre stata e continua ad essere il bersaglio di scherzi e
cattiverie, sua madre è una fanatica religiosa che terrorizza e allo stesso
tempo è terrorizzata dalla figlia; la ragazza scopre, inoltre, di avere il potere della
telecinesi (che sua madre aveva già intravisto quando Carrie era piccola e che
ovviamente considera un maleficio del diavolo) e questo porterà in lei
riflessioni serie su come potrebbe finalmente riscattarsi. Quando, in occasione
del ballo scolastico, le viene lanciato l’ennesimo tiro mancino, Carrie non
riesce e non vuole più controllarsi o subire i soprusi di nessuno: si prende,
dunque, la sua rivincita contro gli amici che non ha mai avuto, contro sua
madre – la principale causa della sua emarginazione sociale – e contro un’intera
città. La narrazione inizialmente non è facile da seguire, vista l’impostazione ‘a inchiesta’ che King da al
racconto e che poi, però, permette di analizzare la vicenda a 360 gradi: si intrecciano
l’esperienza soggetiva di Carrie, quelle delle sue compagne di scuola, il
passato della madre e una serie di documenti riguardanti quella tragedia che
fin dall’inizio viene fatta presagire. Subito, dunque, si sa che qualcosa dovrà
succedere, ma King è molto abile a non rendere scontato nessun dettaglio, a
catturare la curiosità del lettore pur servendogli a priori la conclusione. La rapidità dei passaggi tra un articolo o interrogatorio che fosse e le parti narrative vere e proprie, e la sapienza con cui questi passaggi repentini
accrescevano la suspense mi rendevano facile figurarmi il tutto nella testa come fosse
un film; ma a volte mi trovavo a scorrere velocemente un articolo per poter continuare a leggere di Carrie o di Susan o di Chris... non so, probabilmente era proprio questo il fine di King – o è il senso
della suspense, semplicemente: non far vedere l’ora di sapere cosa succede
dopo, i dettagli, i pensieri. Come primo tentativo di questo genere al limite
tra il fantascientifico e l’horror mi ritengo decisamente soddisfatta, ho
sperimentato (come poche volte ho accettato di fare) di leggere un libro per
evadere dalla realtà e non per comprenderla.
- Papavero blu
Ebbrava!
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