Recensione: Encanto
Salve, specchietti!
Oggi sono qui a parlarvi dell’ultimo film della Disney. Per
la precisione il classico Disney numero 60: Encanto, attualmente
nelle sale.
Realizzato dai Walt Disney Animation Studios, “Encanto” è la storia di Madrigal, una famiglia decisamente fuori dall’ordinario che vive al riparo tra le montagne colombiane, in una casa magica dentro una città palpitante vita: un posto suggestivo e straordinario definito Encanto. Il potere magico del luogo ha consegnato un dono speciale a ciascun nuovo nato della famiglia, dalla forza sovraumana ai poteri curativi; tutti hanno qualcosa di speciale – tranne Mirabel. Quando scopre che la magia aleggia su Encanto a rischio, Mirabel capisce che proprio lei, l’unica priva di speciali capacità, potrebbe rappresentare l’ultima speranza di salvezza per la sua eccezionale famiglia. Il film, con le nuove canzoni originali di Lin-Manuel Miranda, vincitore dell’Emmy, del GRAMMY e del Tony Award (“Hamilton” e “Oceania”), è diretto da Byron Howard (“Zootropolis”, “Rapunzel”) e Jared Bush (co-regista di “Zootropolis”), co-regia di Charise Castro Smith (autore di “The Death of Eva Sofia Valdez”) e prodotto da Clark Spencer e Yvett Merino.
Dopo il film Disney-Pixar Coco, torniamo in sud
America con questo nuovo classico Disney. Il classico precedente, Raya e
l’ultimo drago, ci aveva offerto qualcosa di diverso dal solito (trovate la
mia recensione qui). Con Encanto, invece, torniamo a una modalità
più… classica (passatemi il termine), pur con diverse novità.
Sì, perché Encanto ci riporta ai musical. E non
musical qualsiasi perché alle canzoni torna quel genio moderno che è Lin-Manuel
Miranda che aveva già lavorato, tra le altre cose, a Oceania (e prepariamoci
perché saranno sue anche le canzoni del live-action de La sirenetta).
Le musiche hanno i ritmi latini e ti coinvolgono sua quando
sono più ritmate che nelle melodie più lente e riflessive. Una delle mie
canzoni preferite è “Non si nomina Bruno”, canzone che a primo ascolto potrebbe
sembrare banale, ma che ti entra subito in testa. Inoltre, nell’ultima parte
presenta un intreccio di voci incredibile con diversi personaggi che cantano
insieme cose diverse. Un’altra che mi è piaciuta parecchio è “La pressione
sale” che trovo particolarmente densa di significato.
Non mi è piaciuto molto l’audio delle canzoni. La musica era più alta delle parole e queste non si capivano bene. Non so dirvi però se sia un difetto delle casse del cinema o dell’audio della pellicola. Una volta tornata a casa ho riascoltato la colonna sonora su Spotify e lì l’audio è perfetto.
Abbiamo detto che, pur ritornando allo stile classico, Encanto
ci presenta delle novità. Infatti non abbiamo una principessa, non abbiamo un
principe e non abbiamo neanche un cattivo. Seguendo una tendenza che sta
prendendo campo nei classici degli ultimi anni, la tematica principale non è
l’amore. Almeno, in questo caso, non quello tra un uomo e una donna. Perché Encanto,
in effetti, parla d’amore, ma l’amore della famiglia.
La protagonista del film, appunto, oltre a essere Mirabel è
tutta la sua famiglia, la famiglia Madrigal. Tutti i Madrigal sono caratterizzati
nel dettaglio, anche il papà Augustín che vediamo pochissimo. Le loro
personalità si esprimono attraverso i loro poteri, il loro aspetto, il loro
comportamento e perfino il loro modo di cantare.
Un plauso a tal proposito va alle voci italiane. Al cast di
doppiatori si sono aggiunti Diana Del Bufalo come voce della sorella, Isabela
(che tra l’altro ha una canzone tutta per sé), Alvaro Soler come il cugino
Camilo (che però parla davvero poco, ma l’unica strofa che canta, a parte la
canzone nei titoli di coda, mi è piaciuta davvero tanto) e, soprattutto, Luca
Zingaretti come zio Bruno. Ammetto di non averlo riconosciuto perché Bruno è
così strano e così lontano dalla figura impostata in cui siamo abituati a
vedere Zingaretti (ad esempio in Montalbano) che non riesci ad accostare le due
figure.
Mirabel è una protagonista in cui è molto facile
indentificarsi. Mi è piaciuto innanzitutto il fatto che abbia gli occhiali, caratteristica
che vediamo molto poco nei prodotti di animazione (l’unico altro protagonista
di un classico con gli occhiali è Milo in Atlantis). Mirabel, poi, è totalmente
fuori dai canoni di perfezione. Anche fisicamente non la classica principessa stereotipata:
non è magrissima, non ha i capelli lunghi e, come abbiamo detto, porta gli
occhiali. Mirabel è anche imbranata e un po’ un fardello per la famiglia perché
è l’unica a non avere un talento speciale. Da una parte, quindi, c’è lei che si
sente inferiore, dall’altra la nonna che si sente delusa da lei e non fa altro
che sottolineare questo suo “problema”.
Come Mirabel, neanche la famiglia è perfetta. I rapporti tra
i vari membri non sono idilliaci come si lascia intendere al mondo esterno.
Mirabel e sua sorella Isabela non si sopportano proprio come qualunque normale
coppia di sorelle. Bruno ha litigato con il resto della famiglia. La nonna ha
aspettative troppo alte sui nipoti che temono di dover rispettare quell’alone
di perfezione a loro imposta dall’alto.
La storia del film non presenta grandi colpi di scena. Anzi,
avevo capito dove voleva andare a parare già nei primi dieci minuti, ma il
messaggio che vuole trasmettere supera questo “difetto”, se così lo vogliamo
chiamare (anche nei vecchi film sapevamo benissimo che sarebbero finiti con “E
vissero per sempre felici e contenti”, ma questo non ci vieta di continuare ad
amarli).
Encanto è un film su una famiglia, dedicato a tutte le famiglie. Un film che va
visto tutti insieme, figli, genitori, zii e nonni. Un film che ci invita a
riflettere sui rapporti familiari, a vedere al di là di noi stessi e riuscire a
comprendere e ad accettare i nostri fratelli, i figli, o i genitori. Per questo
si merita i 5 specchi.
PS: il film arriva in sala con un corto: Lontano dall’albero,
anche questo focalizzato sui rapporti familiari, in particolare su genitori-figli
e sul modo in cui un esempio e una spiegazione possa essere molto più efficace
di un rimprovero. Diciamo che è più un cortometraggio che punta a far riflettere
i genitori. (Personalmente, mi ha fatto piangere tantissimo, anche se non ho
figli).
Alla prossima,
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