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Recensione: Ironheart

Salve, specchietti!

Torniamo a parlare di Marvel. In attesa dell’arrivo della famiglia di supereroi a fine mese, lo facciamo con la serie su Disneyplus Ironheart.

Ambientata dopo gli eventi di “Black Panther: Wakanda Forever”, in “Ironheart” di Marvel Television, la tecnologia si scontra con la magia quando Riri Williams (Dominique Thorne) – una geniale giovane inventrice determinata a lasciare il segno nel mondo – torna nella sua città natale, Chicago. Il suo approccio unico nella creazione di armature è brillante, ma seguendo le sue ambizioni si ritrova coinvolta dal misterioso e affascnante Parker Robbins, a.k.a. “Hood” (Anthony Ramos). Fra i produttori esecutivi figurano Kevin Feige, Luis D’Esposito, Brad Winderbaum, Coie Nagelhout, Chinaka Hodge, Ryan Coogler, Sev Ohanian e Zinzi Coogler. “Ironheart” è prodotta in associazione con Proximity Media.

Lasciatemelo dire: questa volta in casa Marvel sono riusciti a fare il miracolo.

Riri Williams, a.k.a. Ironheart è uno dei personaggi più odiati o, almeno, ignorati, del panorama fumettistico. La sua serie a fumetti è stata un totale fiasco. E per quanto si sia cercato di richiamare i fan di Iron Man con riferimenti al “genio, miliardario, playboy, filantropo” (compresa un’IA con il suo volto), tutto quello che sono riusciti ad attirare è stato odio.

Va da sé che anche l’introduzione di Riri Williams nell’MCU non sia stata vista di buon occhio. Almeno all’inizio.

In realtà, nonostante un ridotto minutaggio e qualche effetto speciale discutibile, il suo esordio in “Black Pather: Wakanda Forever” non mi era affatto dispiaciuto (trovate la mia recensione qui).

Sono passati, però, quasi tre anni da allora e l’interesse nei confronti di questo personaggio è calato drasticamente. Così come era drammaticamente basso l’interesse nei confronti della serie omonima, filmata parecchio tempo fa. L’unico, minimo interesse era dato dalla presenza di Hood più che da quella della protagonista.

Nessuno si stava strappando i capelli in attesa di “Ironheart”, nessuno stava facendo un conto alla rovescia, forse anche Disney stessa, visto che il rilascio della serie non è stato settimanale ma diviso in due blocchi da tre episodi.

Proprio a seguito di questa bassa aspettativa ho aspettato qualche giorno per vedere questa serie.

Sono felice di essere stata piacevolmente sorpresa.

-Perché l’armatura?

-Perché posso.

“Ironheart” è una serie fuori dall’ordinario per i tradizionali canoni Marvel. La sua protagonista non è affatto un’eroina. È un genio che però deve fare i conti con un ambiente difficile dove crescere e vivere.

Nata e cresciuta nei quartieri più difficili di Chicago, espulsa dall’MIT per la sua condotta problematica, è costretta a ritornare a casa. Ma come fare se non ha i mezzi per finanziare il suo genio?

È qui che entra in gioco Parker Robbins, a.k.a. Hood, che ingaggia Riri per dei lavori non esattamente legali.

Riri si ritrova, quindi, invischiata in giri pericolosi, dove dal furto si arriva in breve all’omicidio, dove la prospettiva di finire in prigione è pur sempre un’alternativa migliore rispetto a quella di finire uccisa.

Insomma, Riri Williams non è affatto una santa ed è ben lontana dal poter essere definita un’eroina. Ma è forse così tanto diversa dal «genio, miliardario, playboy, filantropo»?

Questa sembra essere la domanda di fondo a tutta la serie. La giovane Riri non ha la coscienza più sporca del venditore di armi Tony Stark né ha un diverso temperamento. Sicuramente, non ci sono molte differenze per quanto riguarda la genialità.

Cosa distingue, allora, l’eroe dall’umanità da questa geniale ragazzina di Chicago?

Le possibilità.

Tony Stark ha sempre avuto i mezzi per fare tutto ciò che aveva voglia di fare. Il momento in cui, in “Avengers: Age of Ultron”, compra un palazzo al solo scopo di demolirlo durante lo scontro contro Hulk è iconico. Lui può permettersi un reattore arc per alimentare la sua armatura e qualsiasi materiale desideri per costruirla. Può permettersi J.A.R.V.I.S o F.R.I.D.A.Y. o E.D.I.T.H. o qualsiasi IA lui voglia creare.

Riri no.

Riri è costretta a sottrarre risorse all’università, a utilizzarne l’IA di supporto per gli studenti dalla discutibile efficacia, a recuperare rottami pur di mettere insieme i pezzi dell’armatura, o a cercare componenti al mercato nero… ma senza avere un soldo in tasca.

La differenza maggiore tra Tony e Riri sono i soldi.

“Credete che Tony Stark sarebbe stato Tony Stark se non fosse stato un miliardario? Senza offesa, ma non è così che gira il mondo.”

Se Riri mi aveva colpita già in “Black Panther: Wakanda Forever”, qui fa proprio un salto di qualità. Il suo essere una protagonista fuori dai canoni della Marvel la rende un personaggio complesso e interessante. È un genio, ma fa scelte sbagliate. Finge di essere una tosta, ma soffre di attacchi di panico. Cerca di fare l’adulta, ma è poco più di una ragazzina.

Riri è il primo supereroe di Chicago e proprio la città di Chicago lascia la sua impronta indelebile nella storia. Le strade di Chicago, con la loro criminalità, le sparatorie impunite, i furti pur di avere qualcosa per sopravvivere… Tutto questo impatta in modo indelebile su Riri e la sua vita, sulla vita dei suoi cari, sulla vita di tutti i personaggi che la circondano.

“Chiunque abbia mai realizzato qualcosa di iconico nella vita, ha fatto qualcosa di discutibile per arrivarci.”

Tutti i personaggi secondari sono ben costruiti. A partire da N.A.T.A.L.I.E.

Creare un’IA con le fattezze di Tony come nei fumetti sarebbe stato infattibile, soprattutto adesso che Robert Downey Junior dà il volto a un altro personaggio all’interno dell’MCU. E poi non avrebbe avuto molto senso all’interno della storia. Invece, Natalie offre l’occasione di scavare nell’animo di Riri, costringerla ad affrontare il passato per guardare con nuovi occhi il futuro.

Tra gli altri personaggi, mi hanno colpito molto Joe e il percorso di evoluzione che ha all’interno della serie (compreso QUEL colpo di scena sul suo conto), la giovane Zelma e poi, ovviamente, lui: Hood.

Adoro Anthony Ramos come attore (dai tempi di “Hamilton”) e trovo che abbia interpretato un Parker fantastico, carico di sfaccettature. Nonostante lui sia notoriamente il cattivo della situazione, a un certo punto ti sembra quasi di patteggiare per lui, di vedere in lui quelle stesse zone grigie che si vedono in Riri. Sono entrambi due giovani che crescono tra le difficoltà e che sono costretti ad affrontarle con i pochi mezzi che hanno a disposizione, compiendo spesso le scelte sbagliate (e nel finale si vede quanto quei due siano simili in realtà).

“Smontati e guardati dentro. Potrebbe celarsi un’eroina in te.”

Non voglio dire nulla su QUEL personaggio (sarebbe spoiler già solo il nome). Sapevo che ci sarebbe stato, ma vederlo lì, sebbene non al massimo della sua potenza, mi ha comunque fatto gettare un urlo di gioia. Spero di rivederlo presto, magari in una veste più minacciosa.

Ultima piccola nota di merito: come abbiamo già visto in “Capitan America: Brave New World” e “Thunderbolts*” (presto anche una recensione di quest’ultimo), la Marvel è tornata a guardare alla macrotrama e all’universo condiviso. Abbiamo riferimenti ad altri eroi, abbiamo porte che si potrebbero aprire in futuro (si vocifera un collegamento con un eventuale progetto sui Midnight Sons), abbiamo fantasmi che tornano dal passato, da quella fase 1 che ha dato inizio a tutto.

Allora, ben tornata Marvel. Ci eri mancata.

Assegno a questa serie i miei cinque specchi.

Alla prossima,

-IronPrincess




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