Recensione: Ant-Man and the Wasp - Quantumania
Salve, specchietti!
Dopo mesi di assenza (e di astinenza) torniamo a parlare di
un prodotto Marvel e lo facciamo con Ant-Man and the Wasp: Quantumania.
I partner supereroi Scott Lang e Hope Van Dyne tornano nei
panni di Ant-Man e The Wasp. Con i genitori di Hope, Hank Pym e Janet Van Dyne
e la figlia di Scott, Cassie Lang, la famiglia esplora il Regno Quantico,
interagendo con strane nuove creature e intraprendendo un’avventura oltre i
limiti di ciò che ritengono possibile. Diretto da Peyton Reed, sceneggiato da
Jeff Loveness e prodotto da Kevin Feige e Stephen Brussard, “Ant-Man and The
Wasp: Quantumania” è interpretato anche da Jonathan Majors nel ruolo di Kang.
Primo film della fase 5 del Marvel Cinematic Universe,
Ant-Man and the Wasp: Quantumania si pone a metà strada tra un terzo
capitolo di una trilogia dedicata all’“uomo insetto” degli Avengers e una prima
anticipazione di ciò che gli Avengers stessi dovranno affrontare nel prossimo Avengers:
The Kang Dynasty.
Esso, infatti, ci mostra per la prima volta sul grande
schermo (ne avevamo già avuto un assaggio nell’ultimo episodio della serie tv Loki)
quello che sarà la grande minaccia dietro alla saga del Multiverso, il cattivo
contro cui i nostri eroi si dovranno scontrare: Kang.
O, per meglio dire, i vari Kang. Perché ne esistono diverse
varianti, più o meno minacciose, più o meno sane di mente. Se, infatti, Colui Che
Rimane era una variante stanca, alla fine della sua esistenza e il suo unico
scopo era quello di mantenere intatta la Sacra Linea Temporale, qui Kang Il
Conquistatore si presenta, già dal nome, come un individuo dalle finalità
tutt’altro che pacifiche, qualcuno che può inchiodarti al muro muovendo solo un
dito, qualcuno ancora più temibile di Thanos.
E chissà come saranno le altre varianti di Kang, sparse per
il multiverso.
Vi starete chiedendo che fine ha fatto Ant-Man…
Ecco, questo è, a mio avviso, uno dei più grossi difetti
della pellicola. In questo film vengono a mancare tutti (o la maggior parte)
degli elementi che ci avevano fatto amare il primo capitolo della trilogia.
Certo, Scott è sempre Scott, con il suo coraggio ben
bilanciato alla sua ironia, ma è tutto il contorno che scompare.
Manca la dimensione urbana. Quella normalità che
caratterizzava Scott nel primo film. Lui è tutto tranne che un essere perfetto.
È ben lontano dallo stereotipo del supereroe datoci, ad esempio, dal grande
Captain America. Quando facciamo la sua conoscenza, è appena uscito di
prigione, non ha un soldo, non ha un lavoro, il suo matrimonio è andato a pezzi
e rischia costantemente di deludere la persona per lui più importante al mondo:
sua figlia Cassie.
Una sua maturazione di certo è normale. Dopotutto, ha salvato
il mondo (come sottolinea lui stesso più volte), ma senza i suoi spazi, è come
se subisse un appiattimento e si omologasse a qualsiasi altro supereroe. Per
riprendere una gag del film… cosa lo differenzia da Thor?
Perdiamo la dimensione urbana, quindi, e con essa perdiamo
tutte quelle scene che giocano sul concetto di cambio di dimensione (il
combattimento nella valigetta o quello sul trenino del primo film, ad esempio).
Perdiamo anche gli amici di Scott, Luis, Dave e Kurt, il lato
più comico dei precedenti film. In particolare, si nota che si cerca, in
qualche modo, di sopperire ai resoconti caratteristici di Luis con il racconto
iniziale di Scott. Soluzione che, ovviamente, non ha lo stesso impatto.
Accanto a Scott ritroviamo Hope, la sua compagna e la sua
Wasp, ma assieme a loro ci sono anche gli Ant-Man e Wasp originari, Hank Pym e
Janet Van Dyne. Questi ultimi riescono a rubare la scena ai due protagonisti.
Se, infatti, è Scott a indossare la tuta da Ant-Man, il vero “signore delle
formiche” rimane sempre Hank. Allo stesso modo, Hope assume un ruolo più
marginale in favore di sua madre, Janet che è centrale nella trama del film.
La squadra si allarga, inoltre, a un nuovo elemento, la non
più piccola Cassie che entra a far parte del team con tanto di tuta personale e
con un’intelligenza che supera di gran lunga quella del padre. Non una prima
prova brillante per la giovane Statue, ma ho apprezzato il modo impara a
gestire i poteri nel corso del film, con il padre che le fa da mentore.
Padre che è profondamente legato a Cassie e ne abbiamo prova in
quella che è, a mio avviso, la scena più bella di tutto il film, quando le
varie “possibilità” di Scott decidono di operare insieme per il bene della
figlia. Lei è la sua unica priorità, il resto è in secondo piano.
Molto bello è anche il rapporto da Hank e Janet. Nonostante i
trent’anni che li hanno separati e le avventure (occasionali o meno) che
confessano di avere avuto, il loro amore reciproco è ancora palpabile in ogni
singola interazione tra i due.
Tra le relazioni extraconiugali di Janet fa la sua comparsa Lord
Krylar, interpretato da Bill Murray, in quella che ritengo essere la scena più
brutta della pellicola. Krylar è un personaggio abbastanza inutile, senza
alcuna spina dorsale, pronto a voltare le spalle agli amici alla prima
occasione. Avrei preferito che venisse affidato a un attore del calibro di Bill
Murray un personaggio di maggiore spessore.
Ho amato, invece, il personaggio di Veb, punto di forza del
gruppo di ribelli di cui, però, mi sarebbe piaciuto sapere di più.
Allo stesso modo, ho apprezzato M.O.D.O.K., più per il suo
aspetto che per l’evoluzione del personaggio all’interno della pellicola.
M.O.D.O.K. è un personaggio volutamente ridicolo, che viene preso costantemente
in giro dai supereroi, con la sua testona sproporzionata rispetto alle braccine
e alle gambine. È normale che risulti ridicolo anche nella sua versione
live-action. Mi sono piaciute anche le sue origini riscritte, mentre non ho
apprezzato affatto la risoluzione finale del personaggio che ho trovato troppo
affrettata e senza senso.
Così come è abbastanza senza senso la fine del film, rigirata
in fretta e in furia nell’ultimo mese, forse perché non del tutto soddisfatti
del finale originario, forse (e, personalmente, propendo più per questa seconda
ipotesi), perché il recente incidente di Jeremy Renner li ha portati a ripensare
la macrotrama del Marvel Cinematic Universe e a rivedere il ruolo di Ant-Man
in sostituzione a Hawkeye.
In compenso, le due scene post-credit sono una meglio dell’altra
(sì, la seconda molto meglio della prima) e ci danno anticipazioni per due dei
prossimi progetti Marvel.
Ant-Man and the Wasp: Quantumania è un film sicuramente con molti difetti,
ma che porta a casa il suo compito di introdurre il pubblico a questa nuova
fase dell’universo Marvel e al suo nuovo nemico e, per questo, si merita i miei
4 specchi.
Alla prossima,
-IronPrincess
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