Recensione Dramosa: Tune in for Love
Bentrovati, Specchietti, con la mia nuova Recensione
Dramosa.
Oggi vi parlo di Tune in for Love, film made
in Corea, che potete trovare su Netflix.
Prima data di uscita: 28
agosto 2019 (Corea)
Regista: Jung Ji-Woo
Dove vederlo: Netflix
Trama:
Anni
'90: una studentessa e un adolescente introverso si conoscono in un panificio.
Per molto tempo provano a ritrovarsi, mentre il destino continua a tenerli a
distanza.
Qualche mese fa mi sono imbattuta in
questa produzione Netflix; la trama, così come proposta, non è che mi attirasse tanto – a tal
proposito, ma chi le scrive? – però ero curiosissima di vedere sullo schermo
Kim Go-Eun e Jun Hae-In assieme.
Lei è una delle mie attrici preferite. Mi ha fatto versare
miliardi di litri di lacrime in Goblin e sospirare
con Lee Min-Ho in The King –
Eternal Monarch.
Lui, dopo un paio di “ni” con Somenthing in the Rain e One Spring
Night (non per
colpa sua, sono le storie che proprio non mi hanno presa) mi ha conquistato a suon di sorrisi in While You Were Sleeping (lo trovate su Viki.com ed è pure il drama preferito della nostra boss Cuore d'Inchiostro).
Insomma, coppia di attori che adoro, quindi perché non dare
un’opportunità a questo film?
Tune in for Love parla di due ragazzi che si conoscono poco più che adolescenti.
Mi Soo (Kim Go-Eun) lavora nel panificio di famiglia assieme a quella che
potremmo definire sua sorella adottiva; una mattina Hyun Woo (Jun Hae-In) entra
per caso nella panetteria cercando del tofu e, da quel giorno, non ne esce
praticamente più, cominciando a lavorarci come garzone.
Hyun Woo, però, non è un ragazzo semplice. Alle spalle, nonostante la giovane età, ha già un passato turbolento e delle amicizie poco raccomandabili. Le stesse che, un giorno, lo porteranno via da Mi Soo.
I due ragazzi, nel corso degli anni, si ritroveranno e perderanno più volte, raccontando l’uno all’altro – e allo spettatore – l’evolversi della propria vita, i traguardi raggiunti e le difficoltà incontrate lungo la strada per diventare adulti.
Sullo sfondo, sempre presente e un po’ linea guida della storia, la musica di una delle emittenti radiofoniche più famose di Seoul, in un viaggio – anche artistico – che va dagli anni Novanta fino all’inizio del nuovo millennio.
Riusciranno Min Soo e Hyun Woo a incastrare le loro vite?
Tune in for Love è una bella storia d’amore, ma anche di crescita. Dentro ci
troviamo tutto: sogni e delusioni della nostra generazione, la difficoltà di
relazionarsi con il mondo degli adulti, la voglia di riscatto. Il credere
fermamente che “volere è potere”.
E nonostante a volte si corra il rischio di perdersi nei salti
temporali che propone, si lascia guardare con piacere.
D’altra parte, però, quanto c’è della mia amata Corea?
Ecco il punto dolente di questa produzione Netflix.
Partiamo dalla realizzazione in sé della storia: probabilmente –
visto che non è la prima volta che mi ritrovo a fare queste considerazioni – il
colosso dell’intrattenimento via web ha la necessità di avvicinare il mondo
asiatico a quello occidentale, ed è per questo che spesso e volentieri ci
troviamo di fronte a prodotti ben diversi da quelli che, chi mangia pane e
K-Drama anche a colazione – conosce molto bene.
Il contatto fisico tra i protagonisti è molto forte e presente. La
necessità di toccarsi, baciarsi, e il desiderio carnale, qualcosa che visto con
i nostri occhi fa quasi tenerezza nella sua genuinità e pudicizia, ma stona
completamente con ciò a cui ci hanno abituato i coreani. Vi basti pensare che,
in media, in un drama di sedici episodi, il primo – spesso casto – bacio si ha
intorno al sesto episodio. E non perché i coreani non facciano sesso o non
sappiano come si bacia alla francese, ma perché nelle loro produzioni puntano
tutto sull’amore romantico – spesso il primo – che va oltre il piano fisico per
elevarsi a sentimento totalizzante. Detto così può sembrar strano, ma vi
consiglio di guardare drama come Hotel del Luna per capire di cosa parlo.
Inoltre, e questo è uno dei motivi per cui non riesco a lasciarmi
travolgere dalle produzioni Netflix, il sottotitolaggio, seppur professionale e super attento, ovvio, è troppo
occidentalizzato. Non si può sottotitolare un film o una serie coreana snaturando il concetto di “oppa”,
“ahjussi” o “eonnie”. Così come non ci si può rivolgere ai personaggi con il
solo nome di battesimo, come faremmo da noi in Italia, non solo tralasciando il
cognome, ma anche la posizione sociale che ricoprono.
Sì, perché se sei il caporeparto Park Dong Un (My Ahjussi), la gente
si rivolgerà a te come “Caporeparto” o “Caporeparto Park Dong Un”. Anche qui,
so che può suonar strano e far ridere un profano, ma in Corea del Sud quello
che fai nella vita ti identifica. Serve per capire le gerarchie all’interno di
una cerchia di conoscenti, ad esempio, e da lì indicare anche il modo in cui
rivolgersi gli uni agli altri.
Tralasciare questi aspetti significa tagliare fuori dalla
narrazione una fetta importante della storia e della cultura di questa nazione.
Insomma, perdonatemi se sono troppo fiscale, ma sono questi
elementi che mi hanno lasciato un po’ di amaro in bocca alla fine della
visione.
Voi, però, guardate Tune in for Love e magari fatemi sapere la vostra impressione. Io, di
mio – e lo ammetto, più che altro per il cast – assegno a questo film i nostri
quattro specchi.
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