Recensione: Black Widow
Salve, specchietti e benvenuti alla Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe!
Sì, lo so, avevo detto la stessa cosa
all’uscita di WandaVision. Allora riformuliamo: benvenuti al primo
film della Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe
e, soprattutto, al primo film Marvel Studios al cinema dopo ben
due anni (l’ultimo è stato Spider-Man: Far From Home che, tecnicamente,
è prodotto dalla Sony Pictures, ma facciamoci andare bene la
definizione).
Primo film della Fase Quattro,
quindi, primo prodotto cinematografico dei Marvel Studios dopo due anni
di assenza dai grandi schermi, primo film della nuova saga Marvel… sì, signori,
stiamo parlano proprio della pellicola più rimandata durante questa pandemia: Black
Widow!
Parliamoci chiaro: quanto è
emozionante tornare al cinema e sentire l’intro dei Marvel Studios? Okay,
lo abbiamo già sentito su Disneyplus con WandaVision e The
Falcon and the Winter Soldier (n.d.r. trovate le mie recensioni a
queste serie rispettivamente qui e qui) e lo stiamo sentendo con Loki
(n.d.r. la recensione sul blog la prossima settimana), ma l’esperienza
del piccolo e del grande schermo son ben diverse e questo ai Marvel Studios
lo sanno molto bene.
Kevin Feige aveva promesso di portare
Black Widow al cinema e c’è riuscito. Certo, per esigenze di
pandemia ha dovuto cedere a un’uscita ibrida (per cui, se non riuscite a
vederlo al cinema, non temete: potete recuperarlo su Disneyplus con Accesso
VIP), ma ameno ha mantenuto la sua parola e posso assicurarvi che n’è valsa
la pena.
Il film si apre negli anni ’90 e ci
dà uno scorcio di quella che era la vita di Natasha prima di tutto, prima degli
Avengers, prima dello SHIELD, prima di diventare una spia, prima della Stanza
Rossa. Solo Natasha e la sua famiglia, una famiglia finta, di spie, sotto copertura,
ma pur sempre una famiglia, almeno finché tutto non precipita e, come dice
“mamma” Melina, non devono tornare “a casa”.
Parte qui una bellissima sequenza di
titoli di testa. Accompagnate da “Smells like teen spirit”, nella versione di
Malia J. Poche immagini, flash, che parlano di guerra, di spionaggio, di
addestramento, di dolore. Perché non c’è bisogno di scendere nel dettaglio:
Natasha ci ha già detto tante volte quanto il suo addestramento sia stato
difficile, quanto la Stanza Rossa l’abbia cambiata, quanto il suo intero corpo
sia stato preparato per quel lavoro, arrivando perfino a privarla della
possibilità di avere figli.
Appartiene tutto al passato, un
passato che Natasha sembrava aver lasciato alle spalle, ma che adesso ricompare
con forza, con violenza, ed è pronto a presentarle il conto. Dopo aver trovato
una nuova famiglia negli Avengers, la nostra Vedova Nera è costretta a guardare
indietro e a ritrovare la famiglia che, nel bene o nel male, l’ha cresciuta.
Ci affacciamo, così, alla vera storia
del film, una storia che cronologicamente va collocata tra Captain America:
Civil War e Avengers: Infinity War, ma che, in realtà, abbraccia un
po’ tutta la storia dell’unico membro femminile della formazione originale dei
Vendicatori. Avevamo lasciato Natasha Romanoff con Tony Stark e il suo
“verranno a prenderti”, l’abbiamo ritrovata due anni dopo con diverso colore di
capelli, diverso taglio, diverso abbigliamento… che cosa è successo?
Black Widow risponde a questa domanda e, contemporaneamente,
ci lancia ancora più indietro nel tempo, rispondendo a un altro fondamentale
quesito che attanaglia la mente di tutti i Marvel-addicted: che cosa è
successo a Budapest?
Il film è, quindi, un riferimento al
passato, ma, allo stesso tempo, è una freccia che si scaglia verso il futuro.
Diamo il definitivo addio a Natasha Romanoff e facciamo la conoscenza di sua
sorella, Yelena Belova, destinata a prenderne il posto esattamente come Sam
Wilson ha preso il posto di Steve Rogers e come, in qualche modo, Peter Parker
ha preso il posto di Iron Man (e come Jane Foster prenderà il posto di Thor nel
prossimo Thor: Love and Thunder).
Avevamo bisogno di un film su un
personaggio morto nel Marvel Cinematic Universe? Assolutamente sì. E non
solo per quanto già detto, ma anche perché la Marvel mostra a tutto il mondo
qual è il vero girl power. No, non è quella scenetta tristemente famosa
in Avengers: Endgame, non è Wasp che supporta Ant-Man, non è Valkiria
che mette k.o. il dio del tuono, non è Peggy Carter che si muove a suo agio tra
i soldati uomini. Non è neanche Captain Marvel che ha bisogno della presenza di
Nick Fury, un uomo, per reggere un intero film e forse neanche Wanda che ha
bisogno di crearsi un’utopia perché non riesce a dire addio al suo grande amore.
È un film con protagonista femminile,
con dei personaggi di supporto femminili, con un esercito femminile, dove le
uniche presenza maschili sono relegate al ruolo di cattivo o di “caricatura” di
un Avenger. È un film dove i combattimenti e gli inseguimenti in auto o in modo non hanno nulla da invidiare agli action movie con protagonisti maschili.
Avevamo bisogno di questo film
all’inizio della Fase Quattro? Ancora una volta, assolutamente sì. Black
Widow si muove in parallelo e in contrasto con Iron Man. A un
protagonista americano contrappone una russa, a un uomo, una donna, a un
playboy, qualcuno che ti ricorda che non è solo un bel culo. E in parallelo si
muove anche la scena dopo i titoli di coda, ma non vi dirò di più in merito
(assicuratevi solo di rimanere al cinema fino alla fine). Black Widow
mette anche in chiaro, ancora una volta, qual è la direzione che vogliono
seguire i Marvel Studios: cinecomic, sì, ma non solo. Perché se togliamo
dall’equazione il siero del supersoldato che scorre nelle vene di Red Guardian
(e che, comunque, si dimostra abbastanza inutile nell’economia del film),
l’elemento “fumettistico” o “fantasy” scompare del tutto e rimane solo un
action movie o una spy story, ben scritta, ben diretta, ben coreografata.
Black Widow è comunque un film che non fa
sentire la mancanza degli Avengers: non li vediamo, certo (non aspettatevi
mirabolanti camei), ma sentiamo i loro nomi, ci ricordano delle loro gesta e un
po’ li vediamo perfino combattere nei movimenti dell’emulatore Taskmaster. Lo
vediamo, infatti, lanciare uno scudo come Cap, scoccare una freccia come Clint,
rigirarsi un coltello tra le mani come Bucky o uscire gli artigli come T’Challa.
Un ultimo commento va per il rapporto
tra Natasha e sua “sorella” Yelena, una sorella non di sangue, ma di cuore.
Ancora una volta la Marvel ci mostra che per essere davvero fratelli non
bisogna per forza condividere il dna. Ce l’ha fatto vedere con gli dei di
Asgard che man mano hanno conquistato questa consapevolezza, ce l’ha ribadito
con Gamora e Nebula, unite anche se Thanos le aveva scatenate l’una contro
l’altra e ce lo sta ripetendo con ancora più forza con Natasha e Yelena. Le due
sorelle si ritrovano dopo tanti anni, ma sono capaci di interagire, di
ragionare, di combattere insieme come se non si vedessero da appena poche ore.
Capaci anche di prendersi in giro, di dirsi le cose in faccia, belle o brutte
che siano. Capaci di essere sorelle. E questo, alla luce della fine che farà
Natasha, ha ancora più valore.
Ovviamente, specchio speciale
per questo iconico film, in attesa che la Fase Quattro dei Marvel Cinematic
Universe ci faccia ancora sognare.
Appuntamento per la prossima
settimana per parlare di Loki.
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