Recensione: Onward
Salve specchietti!
La vostra Iron Princess è qui per
parlarvi dell’ultimo film Disney uscito al cinema. No, non sto parlando di
Mulan, uscito direttamente sulla piattaforma DisneyPlus tramite Accesso VIP, ma
dell’ultimo capolavoro Disney-Pixar: Onward.
Quella che a prima vista appare come l’ennesima
storia sul rapporto padre-figlio si rivela essere, invece, un viaggio alla
ricerca di se stessi e del legame tra fratelli.
Ian ha sedici anni, non ha mai
conosciuto suo padre ed è un ragazzo terribilmente insicuro, al contrario del
fratello maggiore, Barley, appassionato di giochi di ruolo e orgoglioso
proprietario di un furgone che ha montato pezzo per pezzo: Ginevra.
I due, però, non sono normali
adolescenti. Sono elfi di un modo dove la magia è andata man mano scomparendo,
fino a essere sostituita dalla tecnologia. Non si crea più il fuoco con un
bastone magico, ma si accendono le lampadine, i centauri usano le macchine
invece di correre, le sirene fanno il bagno in piscina, le taverne sono ormai
diventate dei moderni fast food e le antiche leggende sono relegate a carte di
un gioco di ruolo.
Eppure, il padre di quei ragazzi
credeva nella magia, tanto da aver creato un incantesimo in grado di riportarlo
in vita per un solo giorno in modo da conoscere i suoi figli. Fantastico! Se non
fosse che le cose vanno storte e l’incantesimo non funziona come dovrebbe.
Inizia così l’avventura dei due
fratelli alla ricerca della Gemma Fenice, necessaria a completare l’incantesimo.
Ma se «uno ha paura di tutto e l’altro non ha
paura di niente», quale sarà
la strada migliore per giungere alla metà?
La pellicola parte già con le
migliori intenzioni, con quella riscoperta delle origini, della fantasia che c’è
dentro ogni uomo e che, forse, ci siamo dimenticati di avere, troppo presi dalla
comodità delle nuove tecnologie. Perché volare quando possiamo usare una moto? Perché
costruirsi un furgone con le proprie mani quando possiamo comprarlo già pronto?
L’entusiasmo di Bailey verso quel mondo dimenticato è palpabile e coinvolge lo
spettatore, lo spinge a cercare il bambino che è in sé, quello che costruiva i
migliori giocattoli partendo da una scatola di cartone e un rotolo di scotch.
Onward, però, va oltre, ti esorta a guardare chi c’è accanto a te in questa meravigliosa avventura chiamata vita. Non stiamo parlando dei genitori che ti osservano dal punto di partenza né dei compagni che ti sei scelto, gli amici, ma di quelli che, volente o dolente, ti sei ritrovato: i fratelli. Quelli che non sopporti, di cui ti vergogni quando sei con gli amici, ma anche quelli che ti sostengono, come e forse più di un genitore, specialmente quando quel genitore non ce l’hai.
Non voglio dire altro per non rovinarvi
la magia (è il caso di dirlo) della visione di questo film che consiglio a
tutti (possibilmente armati di fazzoletti): a chi ha fratelli, ma anche a chi è
figlio unico e vuole capire un po’ di più di questo legame particolare e soprattutto
a chi vuole riscoprire il “dono” dentro di sé, a chi vuole mostrarsi al mondo
nella sua versione migliore.
Alla prossima,
Commenti
Posta un commento