Recensione doppia: Ready Player One - il film

Nel 2045 la terra è diventata un luogo inquinato, funestato da guerre, povertà e crisi energetica. Gli abitanti versano in condizioni precarie, stipati in grossi container spogli, senz'altra evasione che il nostalgico mondo virtuale di OASIS. L'universo ispirato ai ruggenti anni ottanta, creato dal milionario James Donovan Halliday (Mark Rylance), conta milioni di login al giorno per la facilità d'accesso (sono sufficienti un visore e un paio di guanti aptici) e gli scenari iperrealistici in cui sfuggire al mondo tetro e pericoloso. La notizia della morte di Halliday arriva insieme con l'ultima, stimolante sfida lanciata dall'eccentrico creatore: una caccia al tesoro da miliardi di dollari. 
L'adolescente Wade (Tye Sheridan), da sempre affascinato dalla figura del programmatore, ha collezionato informazioni sulla sua vita e il suo lavoro. Attraverso l'avatar Parzival proverà ad aggiudicarsi il premio in palio, contro i potenti nemici di una malvagia multinazionale (la IOI) e un nutrito gruppo di concorrenti senza scrupoli.


Lost Inside My Universe

Partiamo dal fatto che sono riuscita ad apprezzare questo film solo dopo averne letto il libro da cui è tratto. Vi considerate dei nerd o amanti delle ultime serie, che hanno visto come protagonisti gli anni '80? Se sì e non l'avete letto -100 punti alla vostra casata. 
Ready Player One è un libro sui nerd, per nerd. QUI la recensione, se ancora non vi convince. 
Ma torniamo al film, che dovrebbe esser, di conseguenza, una pellicola per nerd e si può dire che lo sia, se non fosse che è pieno di riferimenti che dubito tante persone - adolescenti - in sala, siano riusciti a scorgere, figuriamoci capire.
C'è anche da notare che Spielberg ha cercato su questo fronte di aggiungere delle nuove icone, non facenti parte degli anni '80, come ad esempio Tracer di Overwatch o la guardia imperiale di Star Wars (lo so che c'era già negli anni '80, ma è più riconoscibile del look dei Duran Duran o conoscere "Take me out" degli a-ha e capire perchè sia la canzone preferita di Hallyday) o ancora i soldati e le armi di Halo. Se ci pensiamo un attimo solo il titolo in sè perde tanto, se non si è mai giocato e quindi visto la classica schermata di gioco che compariva a inizio partita, come ad esempio in Pac man o Adventure, altri riferimenti totalmente a caso, ovviamente.
Ci sono, però, altri aspetti che ho apprezzato proprio grazie al libro. In primis il cast. Wade, grazie al cielo, non è il classico belloccio hollywoodiano. Teoricamente avrebbe anche dovuto essere in sovrappeso, ma è un inizio. Lo stesso vale per gli altri ragazzi. Hallyday non è troppo diverso da come l'avevo immaginato, ha la giusta quantità di follia, innovazione e innocenza negli occhi. 
In secondo luogo la storia. Ogni scena è ricca di Easter Egg, si vede che è curata al massimo e quanto siano importanti gli effetti speciali... a volte anche troppo. Quindi effetti fantastici, corse che in Fast and Furious se le sognano, ma... corse? Seri? Dove accidenti le avete trovate nel libro?
Sostanzialmente, del libro, il film riporta solo i concetti principali, ovvero: 
- un mondo fatiscente, dove nessuno più si interessa delle problematiche che lo popolano
- un nuovo mondo, quello digitale in cui tutti ormai vivono
- una caccia alle tre chiavi, lasciate da Hallyday prima di morire, che mette in palio le azioni del proprio gioco = chi vince avrà soldi per sfamare una nazione.
Quello che più mi ha delusa è stato non trovare nessun riferimento o quanto meno Easter Egg a Blade Runner. Sembra una stupidaggine, ma costituisce una buona porzione della sfida di Hallyday, ma immagino che non abbiano ottenuto i diritti, di conseguenza tanti stravolgimenti nella storia. 
Ma se ci mettiamo in un'ottica in cui il libro è comunque sempre meglio del film e non dobbiamo avere mai alte aspettative, pronti pregiudicarci la visione, allora posso dire che mi sia piaciuto. Alla fine si può quasi dire che fosse una versione alternativa al romanzo, adattata per il grande schermo, dove qualche battuta senza il canone diviene più banale, in quanto perde i suoi originali connotati, ma indubbiamente godibile.

Little Fox
Premessa: io non ho letto il libro. In realtà non sapevo nemmeno della sua esistenza. Mi sono approcciata al film da profana, senza conoscere la trama o i personaggi. Prima di scrivere la recensione, però, mi sono documentata e da quello che ho letto non sono poche le differenze tra la storia originale e l’adattamento cinematografico. Ad ogni modo, io mi esprimerò solo su quest’ultimo.
Mi duole dirlo, ma io penso che il lavoro di Spielberg sia spocchioso. Ci sono troppi riferimenti alla sua carriera, troppe citazioni messe lì per ricordare al pubblico chi è e cos’ha fatto nella sua vita. Non credo sia molto professionale da parte sua. Certo, una citazione o due ci stanno e sono legittime, però ha davvero esagerato.
In realtà è un po’ tutto incentrato sul fattore nostalgia, il che non è una scelta vincente per due motivi: primo, ormai lo fanno tutti; secondo, dubito fortemente che le citazioni presenti nel film possano essere colte dai più piccoli. Inoltre a me non frega niente di Shining, né del Gigante di
ferro
: io voglio che mi racconti qualcosa di nuovo, quelle storie le so già e non è necessario mostrarmele così a lungo –mi riferisco alle parti come quella della camera 237-. Ecco, ad esempio: mi proponi un mondo in cui tutto va a scatafascio… spiegami com’è successo, no? Non limitarti al vaghissimo “Eh, porca miseria, è successo perché siamo dei coglioni”. Oppure, se proprio non vuoi dirmelo, spiegami come diamine è possibile che siano tutti magri malgrado la poca attività fisica. Lasciano talmente tanti quesiti in sospeso che il quadro generale risulta confuso e poco coerente.  
Per non parlare delle scelte degli attori protagonisti, i quali dovrebbero essere “bruttini”. Capisco che Hollywood abbia certe regole estetiche, ma Olivia Cooke è obiettivamente una bella ragazza. Non diciamo stronzate, per favore. Se Olivia è brutta perché ha una voglia sul viso, da domani vado in giro con una maschera.
E vogliamo parlare della sceneggiatura? Dio mio, un miscuglio di frasi fatte o senza senso.
“Non c’è niente di reale come la realtà”.
Cavolo, davvero? Non l’avrei mai detto!
Ma per favore. L’avesse scritta una scimmia dattilografa, in confronto il risultato sarebbe stato da Oscar.
Do al film uno specchio perché mi ha annoiata e molti aspetti sono stati trattati male. Peccato perché la trama non è male. Le basi per fare un film godibile c’erano tutte.

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