Recensione: Guardiani della Galassia vol. 3

Salve, specchietti!

Oggi sono qui per parlarvi dell’ultimo capolavoro (sì, questo è uno spoiler della mia recensione) di casa Marvel. Se siete tra quelli che lamentano un certo calo della qualità nei Marvel Studios negli ultimi anni, allora allacciate le cinture perché James Gunn ci riporta direttamente agli sfarzi dei tempi di Avengers: Endgame con Guardiani della Galassia Vol. 3

In “Guardiani della Galassia: Volume 3” dei Marvel Studios, la nostra amata banda di reietti ha assunto un aspetto un po’ diverso. Peter Quill, che si sta ancora riprendendo dalla perdita di Gamora, deve riunire il suo team per difendere l’universo e, allo stesso tempo, salvare un membro della squadra. Una missione che, se non viene completata con successo, potrebbe portare alla fine dei Guardiani così come li conosciamo.

Nel 2014, quando uscì nelle sale cinematografiche il primo film della trilogia dei guardiani della galassia scritto e diretto da quel genio visionario di James Gunn, nessuno, se non i più appassionati lettori di fumetti, aveva mai sentito parlare di quel bizzarro e variegato gruppo di essere a metà tra eroi e criminali che si occupavano di proteggere non un pianeta, bensì l’intera galassia. Non li conoscevamo, eppure ci bastò poco per innamorarci di loro.

Sarà che ciascuno dei suoi membri è anni luce lontano dall’incarnare l’ideale di perfezione con cui, fino a qualche decennio fa, si dipingevano i principali supereroi (insomma, non hanno certo i rigidi valori morali di Captain America, l’ingegno di Iron Man o la forza di Thor), sarà che James Gunn ha saputo fare un miracolo, rendendo un gruppo di alieni di varie razze, alcuni anche solo vagamente umanoidi, umani. Chi avrebbe mai pensato di poter empatizzare con un albero o un procione? Eppure è successo.

In un film dove la logica ti spinge a voler salvare la galassia solo perché “sono uno di quegli idioti che ci abita”, un ladro terrestre fissato con la cultura pop anni ’80, una pericolosa assassina, un distruttore in cerca di vendetta, un albero parlante e un procione cyberneticamente modificato sono riusciti a rubare i nostri cuori, a farci ridere di cuore e a farci piangere tutte le nostre lacrime.

Solo tre anni dopo, il volume 2 ci ha subito riportato a quelle atmosfere, ha risposto ad alcune delle nostre domande (ad esempio sulle origini di Peter), ci ha fatto conoscere più a fondo questo variegato gruppo di difensori galattici e ci ha presentato nuovi membri del team e ci ha fatto ridere ancora di più e ci ha fatto piangere fino alla disperazione.

Sono passati sei anni da allora, anni in cui i Guardiani della Galassia hanno affrontato Thanos al fianco degli Avengers in Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame. Hanno perso, sono stati (la maggior parte di loro) ridotti in cenere, sono tornati e hanno combattuto di nuovo contro Thanos, questa volta vincendo. Hanno vinto, sì, ma hanno perso Gamora. Peter ha perso Gamora, l’amore della sua vita, prima sacrificata da Thanos per ottenere la gemma dell’Anima e poi tornata in una versione alternativa dal passato, versione che, per forza di cose, non ricorda nulla degli anni passati con i Guardiani.

È da qui, e dallo speciale di Natale dei Guardiani, che inizia questo terzo e conclusivo volume della saga. Volume che mette subito in risalto quello che è il vero protagonista della trilogia: non Peter, ma Rocket.

Tutto il film è concentrato su Rocket. Scopriamo la verità sul suo passato, conosciamo i dolori che tormentano il suo animo e, soprattutto, esploriamo più a fondo il suo rapporto con ognuno dei membri dei Guardiani della Galassia. Tutto il percorso fatto da Rocket nei precedenti film, ogni cosa che ha detto o fatto, assume un nuovo significato alla luce di questo terzo volume.

Il film è straziante e divertente in egual misura già dalle immagini iniziali. La scena di apertura, sulle note di Creep, mette subito il magone nell’animo dello spettatore, subito cacciato via da una risata. Per tutta la pellicola, l’umore oscilla tra questi due estremi. Ti ritrovi a piangere e poi a ridere e poi di nuovo a piangere e poi di nuovo a ridere, anche nella stessa scena, senza neanche capire come sia possibile. Ed è tutto molto equilibrato. Non si esagera mai né in un verso né in un altro. Anche il lato comico del film non scende mai nel ridicolo. Insomma, fa quello che Thor: Love and Thunder non è riuscito a fare (trovate la recensione qui).

Non era facile fare un film allo stesso livello dei due precedenti. Pensiamo ad esempio a importanti trilogie nel mondo dei cinecomics come quella di Batman di Christopher Nolan o di Spider-Man di Sam Raimi: in entrambi i casi, dopo un secondo capitolo eccezionale si è caduti in un terzo film mediocre, forse un po’ per l’ambizione di osare troppo, di mettere troppa carne sul fuoco, un po’ perché consapevoli di dover dare una chiusura e di giocarsi, quindi, le ultime carte.

Sulla carta, anche questo Guardiani della Galassia: vol. 3 poteva correre questo rischio. La trama si muove contemporaneamente in più direzioni, tra la ricerca di Gamora, la vendetta dei Sovereign attraverso Adam Warlock, il passato di Rocket e l’arrivo di un nuovo, temibile nemico: L’Alto Evoluzionario. James Gunn riesce a combinare tutti questi elementi in maniera magistrale, senza soffermarsi troppo sulle questioni secondarie, ma dando loro, al contempo, il giusto peso. Insomma, parla di tutto, non lascia nulla di non spiegato o affrontato di fretta, ma riesce comunque a concentrarsi sulla questione principale della trama: Rocket e l’Alto Evoluzionario.

Quest’ultimo entra di diritto tra i migliori villain della storia del Marvel Cinematic Universe. Ancora più folle di Thanos (e al contrario di Thanos non ha un motivo “giustificabile” a spingerlo) e anche più crudele del Titano Pazzo, è interpretato in maniera magistrale da Chukwudi Iwuji (e, lasciatemelo dire, chi se ne frega del cambio di etnia in un alieno quando poi recita a questi livelli! Chukwudi Iwuji sta all’Alto Evoluzionario come Samuel L. Jackson sta a Nick Fury). Le scene che lo vedono protagonista sono tra le più crudeli del MCU, sia a livello fisico ma soprattutto a livello emotivo. È uno di quei cattivi che fa davvero paura. È uno di quei cattivi per cui la morte non sarebbe una punizione sufficiente.

Dall’altra parte abbiamo Adam Warlock. Ammetto che, avendo letto qualcosa di lui nei fumetti, mi aspettavo un personaggio molto diverso. Ho un po’ storto il naso all’inizio del film, ma questo radicale cambiamento viene comunque giustificato. Adam cresce molto nel corso della pellicola e spero di rivederlo in qualche altro film in futuro (magari uno dei prossimi Avengers) ancora più maturo.

Tutti i personaggi maturano in questo film e, per quanto sia in fin dei conti un film corale, ognuno di loro ha il suo momento per brillare e ha una chiusura che rispecchia il suo percorso. James Gunn è riuscito a tirare fuori il meglio di ogni singolo personaggio come singolo e come parte di una squadra (e, a tal proposito, come non citare la scena in piano sequenza nel corridoio nell’ultimo atto del film. Una delle cose più belle che abbia visto al cinema negli ultimi anni).

Non viene neanche lasciata al caso la parentesi dello speciale di Natale, che anzi qui viene citato più volte, anche con degli appositi camei ed easter egg, senza, però, venire presentato come fondamentale alla comprensione della trama (a parte il legame di parentela tra Peter e Mantis che comunque viene spiegato in una battuta già a inizio film).

I Guardiani della Galassia sono Peter, Gamora, Rocket, Groot, Drax, Mantis, Nebula, Kraglin, Cosmo, ma anche la musica che li accompagna, il walkman di Peter andato distrutto e qui sostituito dallo Zune. Le canzoni scelte da Gunn sono esse stesse un personaggio della scena. Non ci sono i guardiani senza la loro musica.

Insomma, James Gunn non poteva chiudere questa trilogia in modo migliore. E io non posso che assegnare a questo film il mio specchio speciale.

Alla prossima,

-IronPrincess



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