Recensione: La Sirenetta

 Salve, specchietti!

Approfittiamo del caldo di questi giorni e indossiamo il costume perché stiamo per andare al mare. Anzi, in fondo al mare. Avete capito bene, stiamo per parlare dell’ultimo live-action di casa Disney, La Sirenetta.

La Sirenetta racconta l’amata storia di Ariel, una bellissima e vivace giovane sirena in cerca di avventura. Ariel, la figlia più giovane di Re Tritone e la più ribelle, desidera scoprire di più sul mondo al di là del mare e, mentre esplora la superficie, si innamora dell’affascinante principe Eric. Alle sirene è vietato interagire con gli umani ma Ariel deve seguire il suo cuore e stringe un patto con la malvagia strega del mare, Ursula, che le offre la possibilità di sperimentare la vita sulla terraferma, mettendo però in pericolo la sua vita e la corona di suo padre.

Se esiste un film Disney che è stato ampiamente criticato già parecchi anni prima della sua realizzazione, quello è proprio La Sirenetta. Allo stesso tempo, se esiste un esempio di quanto sia meglio vedere le cose prima di giudicarle e, eventualmente, criticarle, quello è, ancora una volta, La Sirenetta.

Ammetto di essere stata anch’io preoccupata, in un primo momento, dalla buona riuscita di questa pellicola. Tra annunci ufficiali e rumor di sostanziali (o meno) modifiche rispetto alla versione del 1989 (e no, non mi sto riferendo solamente al cambio di etnia della protagonista, di cui parleremo meglio tra poco), la sua uscita in sala non è stata accompagnata da un buon clima. Se a questo aggiungiamo che La Sirenetta originale è uno dei miei classici preferiti e che ho scritto una grossa parte della mia tesi di laurea sulle canzoni di quel cartone animato, allora capite quanto io potessi essere terrorizzata dall’idea che questo film non mi piacesse.

Alla fine, ho cercato di spogliarmi di ogni pregiudizio e sono andata in sala a testa alta, pronta a gustare tutto quello che Rob Marshall (e tutte le centinaia di uomini e donne che hanno lavorato a questo film) avevano da offrirmi. Me n’era rimasto solo uno: Mahmood (ma anche di lui parleremo meglio tra poco).

Posso dirvi sin da subito che il film mi è piaciuto. E anche parecchio.

Sono passati ben 34 anni da quando, per la prima volta, una sirena dai capelli rossi e la pinna verde, si era tuffata nelle sale cinematografiche cantando, con la sua meravigliosa voce, del suo amore per qualcuno di diverso. Un inno al più nobile dei sentimenti che riesce ad abbattere ogni barriera (filone poi seguito da altri classici come La Bella e la Bestia e Aladdin) Quel film, oltre ad aprire il fortunato periodo conosciuto come “Rinascimento Disney”, lanciò un forte messaggio nel mondo: io posso amare chi voglio, posso essere chi voglio.

A quei tempi, molti di noi non erano neanche nati (io di sicuro) o erano ancora molto piccoli. Pensate a quanto sia cambiato il mondo da allora. Pensate, soprattutto, a quanto sia cambiato il pubblico in tutti questi anni.

È logico, quindi, che una nuova versione di una vecchia storia ha bisogno di adeguarsi ai tempi che cambiano. L’importante, comunque, è che i cambiamenti abbiano un senso logico e che rimanga inalterata l’anima della storia.

In fondo, anche il classico del 1989 aveva stravolto la storia di Hans Christian Andersen, a partire dall’aspetto fisico della protagonista, fino a regalare un lieto fine a una storia altrimenti tragica.

Il primo cambiamento apportato da Rob Marshall in questa nuova versione riguarda l’ambientazione. La favola era ambientata nelle acque dell’Europa del Nord (in Danimarca per la precisione), ma il cartone animato lasciava le cose un po’ dubbie, con qualcosa preso dai mari del Nord e qualcosa che invece si riferiva al mar dei Caraibi, basti pensare a Sebastian con accento giamaicano. Qui è stata sin da subito chiara la scelta di utilizzare un’ambientazione caraibica, coerente con il tipo di fondali mostrato e con certe musicalità, come l’iconica In fondo al mar. Il cambio di etnia di Ariel è, quindi, giustificato dal fatto che lei, all’interno della corte di re Tritone, rappresenti il Mar dei Caraibi. A loro volta, tutte le sorelle di Ariel (che qui hanno un po’ di minutaggio in più rispetto ai pochi secondi in cui le vediamo nel cartone animato) hanno caratteristiche fisiche che richiamano il mare che rappresentano.

Anche la presenza di Eric, unico umano caucasico in un regno caraibico, è perfettamente giustificata, ma non sto qui a spiegarvi come.

Nel cartone animato, poi, il principe Eric era ridotto a oggetto di desiderio da parte di Ariel. Lui era il ragazzo di cui lei si era innamorata, il ragazzo che ha salvato, il ragazzo che la salvava e che, infine, è caduto sotto le mire dell’incantesimo della perfida Ursula, sotto forma di Vanessa.

Non sapevamo nient’altro sul suo conto.

Qui scaviamo più a fondo nella sua vita. Sappiamo qualcosa di più sulla sua vita, sui suoi sogni e sulle sue ambizioni, scopriamo in lui quel desiderio di andare oltre, di conoscere il più possibile, che lo accomuna ad Ariel. Diventa, insomma, un vero e proprio co-protagonista e, come tale merita anche una sua canzone, Acque Inesplorate.

Sono tre in totale le canzoni che sono state aggiunte in questo live-action, a discapito di due canzoni mancanti: Le figlie di Tritone e Les Poissons (più una seconda reprise di La Sirenetta che va a sostituire Gran Finale). Esse sono Acque Inesplorate, Per la prima volta e Il grande scoop, scritte da Alan Menken (che ha composto anche le canzoni del 1989) e Lin Manuel Miranda.

Devo dire che, nel cambio, ci abbiamo guadagnato parecchio.

Il grande scoop è un duetto tra Scuttle e Sebastian e assume un po’ il ruolo di canzone comica lasciato vacante da Les Poissons (e ammetto che Les Poissons mi inquietava parecchio, perciò sono stata contenta che sia scomparsa). Per la prima volta, invece, è un secondo monologo di Ariel, stavolta sulla terra ferma, e ammetto che all’inizio mi ha lasciato un po' perplessa in sala perché andata un po’ a vanificare (almeno nei confronti dello spettatore), la sua incapacità a comunicare, ma si riprende alla grande alla fine, quando culmina nel silenzio di Ariel.

Quella che mi ha colpito di più è, senza alcun dubbio, Acque Inesplorate. Mi ha ricordato molto Per Sempre del live-action de La Bella e La Bestia, dove la Bestia canta il suo amore impossibile per una Belle che è andata via (e, in effetti, entrambe le canzoni hanno lo stesso compositore). Qui Eric canta il suo amore per la misteriosa ragazza che lo ha salvato e che è diventata la sua ossessione, da una parte, ma anche per il mondo che si estende oltre l’orizzonte, quelle acque inesplorate del titolo, che lo chiamano come il canto di una sirena. Un plauso va fatto anche all’adattamento di questa canzone perché non era affatto facile seguire la recitazione di Jonah Hauer-King in questa scena, ma il risultato è meraviglioso.

Purtroppo, sull’adattamento, il distacco tra vecchie e nuove canzoni è netto. «La vita è piena di scelte difficili», direbbe Ursula, così per live-action si è scelto di mantenere il testo delle canzoni del 1989 che, però, risultano spesso e volentieri, totalmente fuori sync (ci sono dei primi piani durante La sirenetta che mi hanno messo i brividi… e non in senso positivo). Questo per evitare il brutto effetto avuto con il live-action de La Bella e la Bestia dove, pur di rispettare il lip sync, sono venute fuori delle canzoni incantabili.

Parlando di doppiaggio, non posso non fare un omaggio alla divina Simona Patitucci, Ariel nel 1989 e una straordinaria Ursula adesso (una chicca nel doppiaggio italiano che abbiamo avuto anche in Aladdin quando il compianto Gigi Proietti, Genio nel 1994, fu chiamato a doppiare il Sultano). Vorrei, però, soffermarmi brevemente su Sebastian, doppiato in italiano da Mahmood.

Non sono una grande fan di Mahmood. Preferisco ciò che scrive a come canta. In generale, non sono molto propensa all’utilizzo dei talent come personaggi principali (con le dovute eccezioni. E ci sono dei brillanti esempi già all’interno degli stessi classici Disney, come Massimo Ranieri e Mietta su Il Gobbo di Notre Dame). Le prime clip uscite su Sebastian, poi, mi avevano lasciato molto dubbiosa in merito.

E invece…

In sala mi sono totalmente ricreduta. Mahmood era scomparso. Si sentiva solo Sebastian. E quello è proprio il lavoro di un buon doppiatore. Paradossalmente, l’ho apprezzato di più nel parlato che nel cantato (e sarebbe il secondo il suo mestiere). Per essere qualcuno che doppia per la prima volta e che non proviene dalla recitazione, ha saputo fare davvero un ottimo lavoro. Si vede anche che è stato guidato bene da Massimiliano Alto in sala doppiaggio, quindi complimenti a entrambi.

Unico aspetto del film che non mi ha lasciato pienamente soddisfatta è la CGI. Ci sono dei momenti che mi sono piaciuti molto (ad esempio, l’arrivo di re Tritone con un mantello di pesci o il nuoto di Ariel nelle scene più concitate, come quando deve scappare da uno squalo), ma ci sono anche dei momenti in cui si perde, come nello scontro tra Tritone e Ursula dove Flotsam e Jetsam sono fintissimi.

A proposito di re Tritone, hanno fatto sentire ancora di più lo stretto legame con sua figlia e ammetto che alla fine, quando la lascia andare, mi sono commossa. Lui, padre così severo, alla fine capisce i bisogni della figlia e la lascia libera di seguire la sua strada.

Ho espresso fin troppo il mio amore per questo film, quindi non mi resta che assegnare i cinque specchi e darvi appuntamento alla prossima che sarà… molto presto. Ci aspetta un mese carico di uscite interessanti.

-IronPrincess



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