Recensione "Race - Il colore della vittoria"




C'è stato, per fortuna, ripetuto in ogni modo: da lunedì a giovedì scorso si sono svolti i Cinema Days, appuntamento che non manco di celebrare ogni anno con entusiasmo. Così stilata una lista dei desideri ed in buona compagnia, abbiamo iniziato la nostra rassegna con il film su cui oggi pongo l'attenzione: Race - Il colore della vittoria (Race in originale).

La trama si mostra fin da subito interessante: la pellicola si presenta come la vera storia di Jesse Owens, il leggendario atleta di colore conosciuto per aver conquistato ben quattro medaglie d'oro alle Olimpiadi nella Germania nazista del 1936. Come se l'impresa non fosse già abbastanza eroica di per sé, a gonfiarla ulteriormente sono stati i miti che vi si sono costruiti intorno, rendendo in certi casi difficile distinguere tra realtà e finzione. È con grandi aspettative e speranze che ho quindi iniziato la visione del film.
La biografia drammatica, genere con cui è stato definito il prodotto, si apre con Jesse Owens già giovane e già atleta, che nell'America degli anni '30, nel pieno della segregazione razziale, riesce con non pochi sacrifici a farsi ammettere alla prestigiosa Ohio University. La vita in Ohio non è facile per i neri, ma Jesse ha un valido motivo per scegliere quel campus, dove quelli come lui sono in netta minoranza: Larry Snyder. Nonostante le recenti sconfitte subite dalla sua squadra, l'uomo viene infatti ancora considerato l'allenatore migliore nel suo campo, e in poco tempo si accorgerà della potenzialità del suo nuovo atleta, allenandolo e crescendolo con stima e passione e portandolo a raggiungere risultati insperati.
Sono diversi gli aspetti che ho notato in questo film. Mi sono piaciuti gli attori (Stephan James nei panni del protagonista, Jason Sudeikis che fa conquistare fin da subito il cuore dello spettatore al coach da lui interpretato, e Jeremy Irons, che mi ha fatto amare il suo personaggio); mi è piaciuto che nonostante il film sia patriottico e autocelebrativo come ogni film americano del genere sa essere, è stato posto un forte accento sulla segregazione delle persone di colore nell'America degli anni '30 (che ha portato al non riconoscimento in patria delle vittorie olimpioniche dell'atleta). E mi è piaciuto che la trama non è stata totalmente incentrata sulle più che famose quattro medaglie. Certo, ovviamente sono la tappa principale della carriera sportiva di Owens e il punto d'arrivo del film, ma non è solo questo: la pellicola mostra anche gli allenamenti e la crescita dell'atleta, e molto di più. Sì perché le Olimpiadi non sono solo sport, e lo sport non è solo gare e competizioni. Mi piace come si è voluto mostrarne le diverse sfumature, e soprattutto ci si sia concentrati sull'aspetto politico. I Giochi del 1936 si sono dimostrati una ghiotta occasione per il regime fascista, che ha deciso di sfruttarle per un'opera di grande propaganda. Il che si è riflettuto inevitabilmente anche sulle altre nazioni nel peso che ha assunto la scelta di partecipare o meno alle competizioni. Ho apprezzato molto il fatto che questo aspetto venisse trattato, e come è stato gestito. Non mi è piaciuto, invece, il modo eccessivo con cui è stata rappresentata la Germania nazista, ma come accennato prima, questo resta pur sempre un film made in America.

La pellicola è stata approvata dalle figlie dell'atleta, morto nel 1980; aspetto che mi ha stupita non poco, visto i modi con cui viene romanzata la vicenda. Ho scritto di quanto fossi speranzosa, nel vedere il film, di conoscere la storia così come era stata, senza le tante leggende metropolitane. Non ho preso molto bene, perciò, la scena (tra le altre) in cui Hitler rifiuta di omaggiare il campione vincitore. Questo episodio è uno dei miti che maggiormente hanno gonfiato la leggenda di Jesse Owens, e che l'atleta stesso ha smentito più volte finché era in vita senza mai venire ascoltato, finché non è stato ufficialmente smentito alcuni decenni fa. Mi sorprende che le figlie del campione non si siano espresse almeno su qualcosa che stava così a cuore al proprio padre.

Il romanzare la vicenda narrata non è l'unica pecca del film, che in alcuni dialoghi scade fino a sfiorare la banalità.
Nel complesso definisco Race un film piacevole e da guardare, se non altro, almeno per interesse personale, ma mantenendo un gusto critico. Ne consiglio comunque volentieri la visione, e gli assegno tre specchi e tre quarti.
Buona visione!




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