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Dory Racconta: Bambi


Ci sono cartoni animati che segnano l’infanzia e uno di questi è uscito proprio oggi nel lontano 1942. 
Di quale cartone animato sto parlando? 
Ci troviamo nella foresta americana. 
È un bellissimo giorno di primavera (li sentite gli uccellini cantare?) quando una giovane cerva diventa la mamma di un piccolo cerbiatto. 
Quel piccoletto, che tutti chiameranno Principino, in realtà si chiama Bambi e la sua vita, che vediamo svolgersi in settanta minuti, cambierà in modo repentino (come è accaduto anche alle nostre quando l’abbiamo visto da piccoli e come sono sicura cambierà quella dei bambini che lo vedranno per la prima volta), facendolo passare dalla spensieratezza alla tristezza in pochi attimi.
Ma partiamo dall’inizio…
Bambi, come tutti i cuccioli, è curioso e intraprendente, fa amicizia in modo quasi istantaneo con Tamburino (un coniglietto spiritoso e molto energico) e con Fiore (che è la puzzola più dolce che vedrete mai in unfilm d’animazione). 
Sempre accompagnato dalla mamma, Bambi fa nuove esperienze, sbaglia, inciampa, corre… fa il cucciolo al mille per cento. 
Incontra anche, però, il primo ostacolo nei cacciatori, dai quali la prima volta lo salva il padre, il principe dei Cervi, un animale maestoso che è quasi algido nella sua eleganza. 
Tutti tirano un respiro di sollievo, ma dura ben poco, perché il piccolo Bambi deve fare i conti con ciò che ognuno di noi teme: la morte. 
Un cacciatore, infatti, uccide la sua mamma. 
E qui, il piccolo Bambi, esce forzatamente dall’infanzia. 
Non c’è spazio per il pianto, perché la sua mamma non tornerà… ma suo padre sì. Il grande cervo lo prende sotto la sua ala e inizia una nuova vita per il giovane animale. 
Una vita dove ci sono gli amici di sempre, ma anche nuove avventure, come l’amore e la rivalità per esso. 
Vediamo Tamburino, Fiore e tutti gli altri diventare grandi e poi genitori, mentre intorno a loro tutto cambia. 
La foresta è ancora un luogo sicuro? 
Sembra ci sia sempre più la presenza dei cacciatori a minacciare i giovani animali, mentre lo scorrere del tempo si evince dal cambio delle stagioni. 
Riuscirà Bambi a conquistare Faline? La giovane cerva che conosce nella prateria? Come terminerà la storia del piccolo Bambi oramai diventato grande?
Non ve lo dico, e non perché non lo sappia, perché credetemi avrò visto questo film d’animazione almeno cento volte, bensì perché, come per i film o le serie tv o i libri, non è mai bello “spoilerare” un finale, nemmeno se quel film, libro o serie tv sono “vecchi” e l’ hanno ormai letti, visti tutti. 
Parto però col dirvi: avete notato come io abbia usato i termini “cartone animato” e “film d’animazione”? 
Li ho usati come sinonimi, perché sono l’uno l’evoluzione dell’altro proprio in linguistica. 
Nel 1942 tutto ciò che era animato e per bambini, era un cartone animato; oggi, per noi, sono film d’animazione, anche perché sono di durata anche superiore all’ora di proiezione. 
Bambi… 
Bambi nei suoi 70 minuti (un’ora e dieci), come vi anticipavo nella premessa/riassunto all’inizio, racconta le stagioni di vita del suo protagonista. Momento cruciale? La morte della mamma. 
Quel breve istante, quel colpo di fucile sparato da un cacciatore (che noi non vediamo mai in viso) rappresenta non soltanto per Bambi, ma anche per chi sta osservando dallo schermo un traguardo epocale. 
La morte in televisione. La morte in un cartone animato. La morte a portata di bambino. 
Ora potrei parlarvi della critica dell’epoca, dirvi quanto fece scalpore questa cosa (come anche il fatto che il padre prendesse la “creatura” e ne diventasse l’unico genitore), ma sono pure sempre figlia di un periodo che ha visto la cattiveria di Scar, la scaltrezza di Jafar, la malvagità di Ursula e la crudeltà di Crudelia (perdonatemi il gioco di parole), per non parlare di come quel tema, da Bambi in poi, sia tornato prepotentemente quasi in un film su tre della vecchia Disney e quasi in ognuno della nuova (Disney Pixar), vedi Oceania, Up, Soul e chi ne ha più ne metta. 
Trovo che sia più interessante pensare al risvolto, quasi al livello degli antichi Esopo e Fedro, della storia in sé. 
La morale finale, che poi è la stessa del libro omonimo di Salten, dal quale il film è tratto. 
Come si supera la morte di qualcuno? La distruzione del mondo “fatato” in cui si vive, quando tutto salta in aria?
Gli affetti più cari. Ecco come. Loro ti aiutano e ti sostengono, anche quando sembravano più distanti della luna. 
Bambi viene salvato dal padre che lo porta in salvo due volte, all’interno della pellicola, ma è il modo in cui lo chiama “figlio mio” a farlo davvero. 
È l’amore a fare la differenza. 
Questo è ciò che si evince in Bambi. 
Questo è ciò che ha lasciato a me nel tempo. 
E ora, dopo tutto queste cose seriose, che ne pensate di un paio di curiosità?
La prima. LO SAPEVATE CHE IN QUALCHE MODO STEVEN SPIELBERG HA RICORDATO BAMBI NELLO SQUALO? 
Come? 
Ragazzi, non sono pazza. Lo so, non c’è un cerbiatto in difficoltà nell’acqua, ma il tema che ricorre ogni volta che arrivano i cacciatori è a tre note e quali altre colonne sonore ne hanno così poche? Sì, bravissimi. Lo squalo con quelle due note create da Frank Churchill! Na- na. Na- na. Nanannanananana (lo so che le avete canticchiate! Non mentite!)
La seconda. Il cattivo, come in moltissimi film noir e dell’orrore, non si vede mai, o meglio si vedono solo le sue mani e l’arma. In quanti altri film non vediamo il killer, ma lo “sentiamo” attraverso il suo respiro o lo “vediamo” attraverso gesti o superfici riflettenti? Avete capito? L’italianissimo Dario Argento usa lo stesso escamotage in Profondo Rosso. Figo, non trovate?
La terza e, ahimè, l’ultima. Il film di Bambi ha dato il nome a due sindromi psichiatriche. L’effetto Bambi e la sindrome di Bambi che vedono, rispettivamente, la morte minimizzata e l’estrema compassione per la dipartita di un animale. 
Eccoci arrivati alla fine di questa prima analisi di un cartone animato della Disney. Che ne pensate? Vi siete sentiti un po’ bambini rileggendo queste parole? L’avete visto? Vi ricordavate tutto?
Be’, alla prossima… spero di avervi fatto sorridere almeno un po’… morte della mamma a parte!

Commenti

  1. Quanti ricordi! E che trauma! L'ho rivisto recentemente insieme a mio figlio, ma non ha capito bene. Lo traumatizzerò più in là, perché sono classici che bisogna conoscere. Bellissimo articolo

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