Recensione: I Fantastici 4 - Gli inizi

Salve, specchietti!

Luglio è stato rinominato dai fan dei cinecomics come il mese del “super-fantastic”, ovvero il mese che segna il ritorno al cinema dei principali personaggi delle due case fumettistiche “rivali” (ma neanche tanto): Superman per la DC e i Fantastici 4 per la Marvel.

Trovate già la recensione al “Superman” di James Gunn qui. Oggi, invece, parliamo di “I fantastici 4 – Gli inizi”.

Sullo sfondo vibrante di un mondo retro-futuristico ispirato agli anni ’60, “I Fantastici 4: Gli Inizi” presenta la prima famiglia Marvel: Reed Richards/Mister Fantastic (Pedro Pascal), Sue Storm/Donna Invisibile (Vanessa Kirby), Johnny Storm/Torcia Umana (Joseph Quinn) e Ben Grimm/La Cosa (Ebon Moss-Bachrach) che si trovano ad affrontare la sfida più ardua. Costretti a bilanciare il loro ruolo di eroi con la forza del loro legame familiare, devono difendere la Terra da un famelico dio dello spazio chiamato Galactus (Ralph Ineson) e dal suo enigmatico Araldo, Silver Surfer (Julia Garner). E se il piano di Galactus di divorare l’intero pianeta e tutti i suoi abitanti non fosse già abbastanza, la situazione diventa improvvisamente molto personale. L’avventura d’azione è interpretata anche da Paul Walter Hauser, Natasha Lyonne e Sarah Niles. Diretto da Matt Shakman, prodotto da Kevin Feige e con produttori esecutivi Louis D’Esposito, Grant Curtis e Tim Lewis.

Nel 1961, per contrastare le vendite della “Justice League” della DC Comics, in casa Marvel si pensò di ideare un nuovo gruppo di supereroi. Le menti geniali di Stan Lee e Jack Kirby si unirono e da questo connubio nacquero i Fantastici 4, supereroi iconici, conosciuti da chiunque, anche da chi non mastica il mondo dei comics.

Furono la prima creatura di Stan Lee e il punto che segnò l’ascesa della Marvel.

Il resto è storia.

Proprio per la sua importanza, i Fantastici 4 hanno avuto diverse incarnazioni cinematografiche (senza considerare le serie animate). La prima, mai distribuita, risale addirittura al 1994. Due versioni, poi, sono state realizzate dalla 20th Century Fox: la dilogia del 2005-2007 di Tim Story e il film del 2015 di Josh Trank. Con l’acquisizione della 20th Century Fox dalla Disney e il conseguente ritorno dei diritti cinematografici della famiglia di supereroi in casa Marvel, il Marvel Studios guidati da Kevin Feige si sono subito mossi per un nuovo adattamento cinematografico, attualmente in sala.

Come nel caso di “Superman”, era di fondamentale importanza non sbagliare questo film, sia per la centralità dei suoi protagonisti nel panorama dei fumetti sia per un crollo di qualità nei cinecomics degli ultimi anni e la conseguente necessità di una ripresa forte e decisiva.

Possiamo dire che, anche in questo caso, le aspettative non sono state affatto deluse.

“L’ignoto diventerà noto e noi vi proteggeremo.”

Il film inizia con la nostra famiglia di supereroi in piena attività, con un servizio televisivo che, in maniera geniale ci riassume in pochi minuti tutto ciò che dobbiamo sapere: i rapporti di parentela tra i quattro, l’incidente che ha dato loro i poteri, l’uso che ne hanno fatto, i nemici che hanno sconfitto fino a quel momento e la creazione della Future Foundation.

Il mondo in cui si muovono i nostri quattro eroi è un universo parallelo rispetto al 616 a cui siamo abituati, diverso anche dai vari universi che abbiamo visto negli ultimi anni. Si tratta dell’828, un modo retrofuturistico, ambientato in degli anni Sessanta alternativi, con la tecnologia talmente avanzata da creare robot, astronavi e raggi per il teletrasporto. Un po’ come quello de “I Robinson”, per intenderci.

Come lo stesso Kevin Feige ha dichiarato, non serve fare i compiti a casa. “Fantastici 4 – Gli inizi” è godibilissimo senza aver mai visto niente della Marvel. Tutto quello che occorre sapere ci viene spiegato nei primi dieci minuti del film.

Se, però, siete tra quelli che ne capite un po’ e che avete tenuto in mano almeno una volta un fumetto, allora troverete qui diversi riferimenti a tavole o cover famose, quelle piccole chicche che strizzano l’occhio all’appassionato senza, tuttavia, risultare troppo forzate.

“Io sono l’araldo del suo inizio, l’araldo della vostra fine, l’araldo di Galactus.”

La pellicola è qualcosa a metà tra un film per le famiglie e un disaster movie, il tutto condito, ovviamente, dal classico tocco dei cinecomics. Il tema della distruzione del mondo, infatti, è centrale nella trama, con l’imminente arrivo di Galactus, il divoratore di mondi. Quello che ho apprezzato particolarmente in tal senso è che la sopravvivenza non è affatto scontata. Al contrario, la possibilità di non farcela è sempre più tangibile man mano che i minuti scorrono e il film si avvicina alla sua fine. Devo ammettere che sul finale avevo proprio un nodo allo stomaco, un livello di tensione che mi ha ricordato molto quando Iron Man manda un missile nello spazio alla fine di “The Avengers”.

Da una parte la distruzione, dall’altra il suo esatto opposto: la famiglia. I membri dei Fantastici 4 sono una famiglia prima ancora di essere degli scienziati, prima ancora di essere dei supereroi. E non solo per una mera questione di legami di sangue. La stretta unione tra i quattro traspare in ogni scena. Non si tratta solo del legame tra i fratelli Storm o tra i coniugi Richards. Perfino tra Johnny e Ben troviamo un legame quasi di fratellanza. I quattro si supportano a vicenda, si prendono in giro a vicenda e litigano perfino, perché è questo che fa una vera famiglia. Ma che si tratta di pilotare una navicella spaziale o combattere un essere cosmico, i Fantastici 4 riescono a muoversi come un corpo unico. Le azioni di uno sono subito completate dall’altro e così via. (Emblematica, in tal senso, è la scena quando fuggono da Silver Surfer con la navicella che mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta).

Famiglia diventa anche un concetto allargato, che coinvolge l’intero genere umano. Diventa il simbolo del lottare insieme contro un nemico comune. Perché la distruzione del pianeta non riguarda un singolo Stato o un ristretto gruppo di persone. Coinvolge tutti allo stesso modo.

“È questo che fa una famiglia: lottare per qualcosa che va oltre te stesso, unirti a qualcosa che va oltre te stesso, appartenere a qualcosa che va oltre te stesso.”

Accanto al concetto di famiglia, il regista Matt Shakman affianca anche il concetto di “madre” che aveva già esplorato con “Wandavision”. Sue Storm è una madre con M maiuscola. È una supereroina che farebbe di tutto per salvare il suo mondo, ma sacrificherebbe il suo mondo per salvare suo figlio. E Vanessa Kirby è meravigliosa nel ruolo.

Mi è piaciuto parecchio anche come sono stati sfruttati i poteri di Sue. Se la donna invisibile di Jessica Alba si limitava a diventare invisibile, appunto, e faticava già a creare qualche campo di forza, la Sue di Vanessa Kirby è molto più potente. Trasferisce l’invisibilità al mondo circostante, crea campi di forza che riescono a bloccare Galactus o, cosa che ho adorato, rende invisibili anche singole parti del suo corpo.

Anche Silver Surfer ha fatto un salto di qualità rispetto ai vecchi film, e non solo per il passaggio da Norrin Rudd a Shalla-Bal. La tavola non è più un semplice accessorio, ma la vediamo davvero surfare nello spazio, in una sequenza spettacolare.

Più di tutti, però, è Johnny che ha subito il vero upgrade. Il Johnny di Chris Evans era il ragazzino strafottente, che pensava alle donne e a divertirsi e solo a quello. Che si ritrovava a salvare il mondo quasi come per un effetto collaterale. Johnny era quasi un elemento di disturbo, specie all’inizio, specie nel rapporto con Ben.

Joseph Quinn porta in scena un Johnny completamente diverso, senza però snaturare il personaggio. È intelligente e molto, anche se neanche lontanamente ai livelli del cognato, le battute con Ben sono segno di puro affetto e non hanno mai un sapore negativo. È impulsivo, sì, ma non incosciente. I suoi rischi sono calcolati e non esita a mettere in gioco la sua stessa vita per il bene del pianeta, della sua famiglia, di suo nipote che ama intensamente. Persino il suo rapporto con le donne, e con Shalla-Bal in particolare, non è morboso ed è ben integrato nella trama. La sua attrazione per la surfista sexy diventa un mezzo per la salvezza.

Era già il mio preferito del gruppo, ma qui si sono davvero superati. E se all’annuncio del cast Joseph Quinn era l’elemento su cui ero più dubbiosa, adesso non riesco a immaginare un Johnny migliore di lui. E non vedo l’ora che lo facciano interagire con Spider-Man.

Mi è piaciuto parecchio anche il modo in cui vengono realizzati i poteri di Johnny. Che sia nelle spettacolari scene di lavoro o quando viene utilizzato come fonte di luce durante il black-out, non è soltanto un ragazzo che prende fuoco, ma, come la sorella, sfrutta a pieno ogni potenzialità del suo potere.

Cosa che mi sarei aspettata di più anche da Mr. Fantastic. Pedro Pascal è perfetto nel ruolo, ma avrebbero potuto sfruttare meglio la sua elasticità. Sappiamo che può fare molto altro oltre ad allungare braccia e gambe. Spero di vederlo sfruttato meglio in “Avengers: Doomsday”.

“Se sapete fare qualcosa, fatela per il vostro pianeta.”

Concludo con un accenno alla colonna sonora, firmata da quel meraviglioso uomo di Michael Giacchino che, non a caso, ha lavorato anche alla trilogia di Spider-Man. Sebbene non raggiunga le vette elevate di “The Batman”, penso che rimanga comunque uno dei migliori lavori del compositore.

Ho amato questo film, ho pianto tutte le mie lacrime, specie sul finale, mi sono esaltata, ho riso. Forse non sarà tecnicamente perfetto come “Superman”, ma è riuscito a entrarmi dentro come non mi succedeva da parecchio. Per questo non posso che assegnargli il mio specchio speciale.




Alla prossima,

-IronPrincess



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