Oggi voglio recensire un altro testo delle Operette Morali di Leopardi,
un testo che mi è sembrato simpatico, si badi, non gioioso!
Il dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie.
Il tutto è presentato come un’opera teatrale indicando gli spostamenti
dei personaggi, le entrate o uscite di scena.
Analizziamo ora per gradi le tematiche affrontate nel brano.
Dapprima la lugubre e malinconica canzone dei morti, un componimento
in rima di settenari e endecasillabi, nella quale si richiama il fondamento
base del pensiero leopardiano: l’infelicità umana.
Lo vediamo in particolare nei versi ripetuti all’interno della
canzone: nostra ignuda natura, lieta no
ma sicura dell’antico dolor.
Le tematiche del dialogo invece sono tutte a proposito della dinamica
della morte.
Le mummie, rispondendo alle domande del Ruysch, spiegano che la morte
non è dolorosa, che sopraggiunge per gradi, e senza che ce se ne accorga, così
come avviene con il sonno. L’anima semplicemente fuoriesce dal corpo, non vi è
una rottura, e dunque qualcosa che possa provocar dolore.
Ciò che mi è piaciuto in questo brano è il confronto tra le più
profonde e umane paure, presentate attraverso il discorso del Ruysch che vanno
a confrontarsi con la morte stessa. Il tutto è presentato con toni malinconici
e pacati, come a voler diffondere una certa tranquillità che rispecchia il fine
ultimo del pensiero leopardiano: la vita non è e non può essere felice, e la
morte può essere il solo completo rimedio alla sofferenza e la noia.
Ovviamente è un pensiero eccessivo nella mia ottica, ma quello che mi
ha colpito è l’ingegnosa idea del brano, i toni ironici iniziali nell’assurdo
dialogo tra le mummie e il protagonista, con tanto di freddure come ad esempio
i morti che chiedono di non essere ammazzati, e la pacata malinconia finale
nell’assimilazione della morte alla dolcezza del sonno.
-Iris-
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