Recensione: Barbie

Salve, specchietti!

Oggi il nostro blog si tinge di rosa (cioè, più rosa del solito) perché parliamo del film del momento, il film diretto da una donna ad aver incassato di più nella storia del cinema. Che la si ami o la si odi, stiamo parlando di Barbie.

Vivere a Barbie Land significa essere perfetti in un luogo perfetto. A meno che tu non stia attraversando una crisi esistenziale. Oppure tu sia un Ken.

Barbie può essere letto secondo due diversi livelli. Il primo molto superficiale, intuibile anche da parte di un bambino che si approccia alla storia con genuini occhi di meraviglia; il secondo che scava in profondità in un’analisi della società contemporanea eviscerata fino alle sue radici.

Nel primo livello troviamo una gigantesca mossa di marketing che punta molto sull’effetto “nostalgia”. A chi non è mai capitato, infatti, di giocare almeno una volta nella vita con una Barbie? Persino chi la odia se ne sarà trovata, a un certo punto, una tra le mani, sia pure per distruggerla. Le nonne ne hanno sentito parlare, anche solo per comprare il giusto regalo di compleanno o di Natale alle loro nipotine, le mamme sono state le prime a giocarci e tutte noi, di venti, trenta o quarant’anni, ci siamo ritrovate di fronte al grande schermo ricordando con meraviglia quale di quelle bambole presentate nel film avevamo nella nostra collezione, cercando di ricordare se avessimo mai avuto un Ken o una Barbie Stramba, riconoscendo vestiti, accessori e perfino personaggi secondari? E i maschi? Beh, loro avranno conosciuto le Barbie delle sorelle, delle cugine o delle compagne di scuola.

Insomma, tutti conoscono Barbie e tutti avranno risvegliato dei ricordi, belli o brutti che fossero, dopo la visione di questo film.

D’altra parte, abbiamo detto, è una gigantesca manovra di marketing. Il prodotto di punta della Mattel, almeno sul lato femminile (anche se, per fortuna, nelle ultime generazioni si sta cercando di sdoganare il concetto di giocattoli per femmina e per maschi), non invecchia mai. Al contrario, si rinnova continuamente, risponde ai bisogni della società. Non a caso, nel film stesso troviamo una Barbie sulla sedia a rotelle, membro attivo e per nulla discriminato nella perfetta società di Barbie Land, così come una Barbie curvy.

La Mattel riesce nel duplice scopo di autoesaltazione, con una carrellata sulla storia della creazione della bambola più amata dalle bambine, ma anche di autoironia, mostrando una società che promuove il femminismo ma il cui Consiglio di Amministrazione, CEO compreso, è interamente composto da uomini. Anche la Warner Bros salta sul carro dell’autoironia (e chi è abbastanza vecchio da ricordare prodotti come gli Animaniacs sa che non è nuova a certe mosse), andando a citare addirittura la controversa Zack Snyder’s Justice League.

Sotto questo strato così superficiale c’è un altro livello di lettura molto più profondo. E se il primo si rivolge principalmente alle donne, il secondo è più rivolto agli uomini. Perché, se tutte noi abbiamo apprezzato il fantastico discorso di Gloria su com’è essere una donna nella società moderna (personalmente non mi stanco mai di sentirlo/leggerlo), sono tutte cose che noi donne conosciamo purtroppo fin troppo bene. Gloria e Greta Gerwin dietro di lei e tutte le altre donne che hanno lavorato a questo film stanno dicendo queste parole agli uomini.

Barbie non è un’esaltazione del femminismo come è stato erroneamente definito. Al contrario, è una lotta al patriarcato. E sono due cose molto diverse.

Non offre una soluzione, presenta un problema.

La società perfetta di Barbie Land, governata dalle donne, dove ogni Barbie, ogni donna può fare qualsiasi cosa voglia (può essere un’operaia, una dottoressa, un premio Nobel o una Presidente) e gli uomini, i Ken, sono ridotti a oggetti che esistono soltanto in funzione delle donne, è una contrapposizione della società moderna.

In questa chiave di lettura, il Ken di Ryan Gosling diventa il vero protagonista. Da sempre desideroso di considerazione da parte di Barbie Stereotipo (Margot Robbie), che sia anche solo uno sguardo, una volta giunto nel “mondo reale” scopre che c’è altro là fuori per lui, ha un assaggio di quel potere che pensava fosse riservato solo alle donne. E ne vuole di più.

I Ken, gli uomini in generale, non sono ridicolizzati in questo film (altra critica che ho sentito dire in questi giorni). A loro viene riservato lo stesso ruolo che hanno le donne nei film a forte stampo maschilista. Non a caso tra le fonti di ispirazione di Ken per creare il suo Kendom ritroviamo Greese, Top Gun o Rocky (tutti film cult, ma che sono frutto dei loro tempi per quanto riguarda la divisione dei ruoli tra i generi). Il percorso di maturazione di Ken è esattamente quello che sarebbe affidato a una qualsiasi protagonista femminile: da ragazzo-oggetto che vive solo in funzione della ragazza dei suoi sogni, scopre che può essere di più, che può ambire a un ruolo più alto, sbaglia e cade lungo la strada, ma alla fine arriva a trovare realmente se stesso. Quel “I am Kenough” scritto sulla sua felpa alla fine è indicativo del suo percorso di scoperta, del capire di essere abbastanza (“enough”) come Ken, senza dover per forza essere accostato a Barbie.

Ken è il personaggio che mi è piaciuto di più all’interno del film e l’interpretazione di Ryan Gosling è stata magistrale (sì, a mio avviso, addirittura migliore di quella di Margot Robbie), tanto che si vocifera già di una possibile nomination agli Oscar.

Ma quindi l’unico messaggio del film è destinato agli uomini?

No, Barbie parla anche alle donne. Lo fa portandole ad aprire gli occhi sul mondo che le circonda. Lo fa tramite la crescita (forse un po’ scontata) del personaggio di Barbie Stereotipo, lo fa ribadendo a ogni singola donna al di là dello schermo, adulta o bambina che sia, che può diventare ciò che vuole, lo fa con quella straordinaria sequenza finale sul mondo reale presa direttamente dalla vita di ogni donna che ha partecipato alla realizzazione del film, lo fa, soprattutto, togliendo la storia d’amore dall’equazione. Come Ken è abbastanza senza Barbie, così Barbie può vivere benissimo senza Ken. Non critica le relazioni, ma lascia la possibilità di scelta; non è contro le coppie, ma sottolinea l’importanza del singolo individuo, maschio o femmina che sia.

Ci sarebbe molto altro da dire su questo film. Si potrebbe parlare dei personaggi di contorno che riescono a trovare comunque la propria occasione per emergere, come Barbie Stramba o Alan o il Ken di Simu Liu o ancora il CEO della Mattel con cui Will Farrell ci regala un perfetto incrocio tra Buddy di Elf e il padre di The Lego Movie. Si potrebbe anche parlare dei numerosi riferimenti ed easter egg ad altri film o dei camei, compreso quello della “vera” Barbie, Barbara Handler, l’allora bambina che ispirò sua madre nella creazione della bambola.

Voglio, però, riservare queste ultime righe alla colonna sonora del film. Si spazia da canzoni di Dua Lipa e Billie Eilish a una nuova versione di Barbie Girl fatta da Nicki Minaj dove, in linea con lo spirito del film, viene tagliata la parte di Ken, ma quella che più mi è entrata in testa e che spero di vedere nominata agli Oscar (anche solo per vedere Ryan Gosling sul palco a cantarla) è sicuramente I’m Just Ken, una ballata a metà tra le boyband anni Novanta e i musical degli anni Settanta-Ottanta (palese è il riferimento a Greese nei costumi). Nel testo sono riassunti tutti i sentimenti e i pensieri più profondi di Ken, perché, proprio come i vecchi musical ci insegnano, quando non sai come esprimere quello che senti, allora è meglio cantarlo.

Insomma, cari specchietti, vi consiglio di non sottovalutare Barbie perché dietro a un film su una bambola c’è molto, molto di più. E se non servirà ad abbattere definitivamente il patriarcato (d’altronde, neanche nel film stesso trovano una soluzione), almeno potrà servire a diffondere consapevolezza. Una piccola goccia (rosa) che insieme ad altre gocce può generare un oceano.

Ed è per questo motivo che assegno a Barbie il mio specchio speciale.

Alla prossima,

-IronPrincess

PS: vi lascio il discorso integrale di Gloria perché merita di essere letto da tutti ancora e ancora e ancora…

"Devi essere magra, ma non troppo magra. Non puoi mai dire che vuoi essere magra, devi dire che vuoi essere sana, ma devi comunque essere magra.

Devi avere soldi, ma non puoi chiedere i soldi perché è volgare.

Devi essere un capo, ma non puoi essere cattiva. Devi comandare, ma non puoi schiacciare le idee degli altri. Devi adorare essere una madre, ma non puoi parlare dei tuoi figli tutto il tempo.

Devi essere una donna in carriera, ma devi anche prenderti cura delle altre persone. Devi rispondere dei cattivi comportamenti degli uomini, il che è allucinante, ma se lo fai notare vieni accusata di lamentarti.

Devi rimanere bella per gli uomini, ma non così bella da tentarli troppo o da minacciare le altre donne, perché ci si aspetta che tu sia parte della sorellanza pur facendoti notare.

E sii sempre grata, ma non dimenticare che il sistema è truccato. Quindi trova il modo di riconoscerlo, ma rimanendo pur sempre grata.

Non devi mai invecchiare, mai essere scortese, mai darti le arie, mai essere egoista, mai cadere, mai fallire, mai mostrare paura, mai essere sopra le righe. È troppo difficile, è troppo contraddittorio e nessuno ti dà una medaglia né ti dice grazie. Anzi, alla fine viene fuori che non solo sbagli totalmente ma che è anche tutta colpa tua.

Sono così stanca di vedere me stessa e ogni singola altra donna fare i salti mortali tutti i giorni per riuscire a piacere agli altri.

E se tutto questo vale anche per una bambola che rappresenta una donna, allora io non so più che dire."

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