Halloween Review Party: Recensione "Per mia figlia" by Luca Bortone
L'Halloween Review Party è un evento organizzato da Elisa Costa in collaborazione con la casa editrice Panesi.
Insieme ad altri blog, recensiremo uno dei libri scelti e assegnati dall'editore, che trattano tematiche legate a Halloween (gialli, thriller, horror...). Il romanzo che ci è stato assegnato è Per mia figlia di Luca Bortone, un thriller di 356 pagine.
Trama
Il dovere di ogni genitore è proteggere i propri figli. Ma cosa succede quando un padre sente di aver fallito?Giulio Magni ha una famiglia che adora, e che lo adora, un buon lavoro e una vita che definirebbe felice. Ecco perché, quando scopre lo stupro che la figlia ha subito alcuni anni prima, si sente cadere totalmente dalle nuvole. In un attimo la sua vita va in mille pezzi. Dove ha sbagliato? Perché non è riuscito a proteggere la sua bambina?
Dilaniato tra rabbia e sensi di colpa, Giulio è pronto a tutto per rimediare ai suoi errori, per ottenere vendetta.
Ma fin dove può spingersi l'amore di un padre? Qual è il confine tra amore e violenza?
Recensione
Per mia figlia è un thriller molto crudo dalle sfumature (quasi) etico-morali, oltre che psicologiche. È questo l'aspetto principale su cui voglio concentrarmi, perché credo che l'autore stesso ne abbia fatto il suo cardine e intento primario. Certo, il romanzo non è privo di una trama e dei personaggi, con le proprie strutture. Ma credo sia chiaro come passino tutti, in un certo modo, in secondo piano.
Per mia figlia si propone di trattare diversi temi delicati e complessi, oltre che sempre attuali. Due sono i nuclei principali: lo stupro e la giustizia. Lo ammetto: sono molto sensibile a entrambi, per questo non possono non prendere a cuore la questione.
Partiamo dal primo: lo stupro, che qui si allarga anche alla violenza, alle molestie e all'oggettificazione in generale (non sfugge, ad esempio, come ogni singola figura femminile presente, o anche solo citata, venga sempre e comunque sessualizzata. Come fosse questo l'unico determinatore comune che le caratterizza in quanto donne).
Non serve sia io a dire che è sempre complicato trattare il tema dello stupro. Credo sia anche difficile, per un uomo, parlare delle violenze subite da una donna, e viceversa. Non perché uno dei due generi non ne sia mai vittima, assolutamente: solo le dinamiche, anche a livello quotidiano, sono su alcuni aspetti inevitabilmente diverse (attenzione, non più o meno "forti", solo differenti).
Eppure Luca Bortone ci prova, analizzando il trauma in molte delle sue infinite sfumature, con molta attenzione, anche se non mancano alcune piccole imprecisioni. Ma non è sulla qualità dell'analisi che mi voglio soffermare: so che l'autore ci ha provato e ha fatto del suo meglio.
Non serve sia io a dire che è sempre complicato trattare il tema dello stupro. Credo sia anche difficile, per un uomo, parlare delle violenze subite da una donna, e viceversa. Non perché uno dei due generi non ne sia mai vittima, assolutamente: solo le dinamiche, anche a livello quotidiano, sono su alcuni aspetti inevitabilmente diverse (attenzione, non più o meno "forti", solo differenti).
Eppure Luca Bortone ci prova, analizzando il trauma in molte delle sue infinite sfumature, con molta attenzione, anche se non mancano alcune piccole imprecisioni. Ma non è sulla qualità dell'analisi che mi voglio soffermare: so che l'autore ci ha provato e ha fatto del suo meglio.
Sono due gli aspetti, al riguardo, che non mi trovano d'accordo. La prima (l'ultima in ordine cronologico) è il concetto della vittima che ritrova serenità sapendo che qualcosa di molto brutto è accaduto al carnefice. Lo so, ognuno reagisce a una violenza a modo suo, e ha tutto il diritto di farlo (finché resta nel rispetto del prossimo). Eppure, personalmente, non riesco a convincermi della cosa.
Se il carnefice è già uscito dalla vita della vittima e non potesse farle altro male, che serenità potrebbe darle sapere che lo stupratore ha subito, a sua volta, qualcos'altro di altrettanto brutto? Come potrebbe alleviare la paura, la consapevolezza di sentirsi deboli, indifesi, violati e tutto il devastante contraccolpo emotivo che un tale trauma comporta? Capirei se si trattasse di giustizia civile in tribunale, ma la legge del taglione (attuata da terzi, per lo più)...?
Lo so, sono modi di reagire differenti, ma non riesco a farmelo andare giù.
Lo so, sono modi di reagire differenti, ma non riesco a farmelo andare giù.
La seconda questione (che mi ha ferito) è la concezione che ha Giulio di essere anche lui una vittima. Ovviamente la figlia viene sempre indicata come la prima vittima (e ci mancherebbe altro, direte voi), ed è altrettanto ovvio che sapere che qualcuno ha subito una tale violenza, con tutto il dolore e lo shock che ne consegue, ferisce anche coloro che gli stanno attorno. Ma la vittima resta la figlia: non Giulio. Quanto è lecito, per una persona cara, mettere il proprio dolore al primo posto? Quanto è lecito sentirsi una vittima anche se chi ha subito la violenza è qualcuno a cui noi vogliamo bene, e non noi? Quello di Giulio può davvero considerarsi un gesto d'amore? O è puro egoismo? Per chi sta cercando vendetta questo padre: per la figlia o per se stesso?
Il che ci porta al secondo tema cardine: la giustizia.
Ci siamo passati tutti, prima o poi. Tutti abbiamo pensato almeno una volta che lo Stato, le forze dell'ordine (e tutta la banda) non fossero in grado di proteggerci, che il sistema giudiziario e legale non assicurassero un'adeguata giustizia. Eppure come cittadina non posso accettare l'eterna legge del taglione; e come essere umano non posso che ripudiare la tortura e l'omicidio, anche se è ai danni di un criminale. È sempre una persona, un essere umano, e un'esecuzione non è mai giustificabile. Chi siamo noi per dare punizioni? Non è di vendetta che si dovrebbe parlare, ma di rieducazione.
Il che ci porta al secondo tema cardine: la giustizia.
Ci siamo passati tutti, prima o poi. Tutti abbiamo pensato almeno una volta che lo Stato, le forze dell'ordine (e tutta la banda) non fossero in grado di proteggerci, che il sistema giudiziario e legale non assicurassero un'adeguata giustizia. Eppure come cittadina non posso accettare l'eterna legge del taglione; e come essere umano non posso che ripudiare la tortura e l'omicidio, anche se è ai danni di un criminale. È sempre una persona, un essere umano, e un'esecuzione non è mai giustificabile. Chi siamo noi per dare punizioni? Non è di vendetta che si dovrebbe parlare, ma di rieducazione.
Il motivo per cui vi ho resi partecipi delle mie riflessioni è perché Per mia figlia non si limita a raccontare alcune delle crudeltà della vita, ma porta inevitabilmente il lettore a scontrarsi con tematiche forti e complesse, a interrogarsi e a riflettere. A confrontarsi con le ombre più nascoste del proprio animo. Non è un thriller crudo solo per ciò che racconta, ma per quello che questo comporta.
Una piccola analisi merita anche la parte tecnica del romanzo (tranquilli, sarò breve). Quello di Luca Bortone è un buono stile, che è stato pensato e lavorato dall'autore prima e dalla redazione editoriale poi (anche se non mancano i soliti refusi sfuggiti).
Alla trama e ai personaggi ho già accennato, ma ciò che li accomuna, in un certo senso, è la moltitudine. Le figure messe in gioco (alcune anche solo per un paragrafo) sono tantissime; la trama è piena di avvenimenti e sotto-trame secondarie. Il che dà sicuramente corpo e complessità al libro, eppure non riesco a non chiedermi se fosse tutto irrinunciabile e fondamentale. Senza contare alcuni azzardi, come le continue azioni illegali commesse da detective di polizia o addetti alla sicurezza privata.
Nel complesso Per mia figlia resta un libro pieno, su certi aspetti molto spettacolare, e che fa ruotare il suo contenuto su temi complicati quanto ricchi. Tutto il resto rimane una questione di gusti e opinioni personali; eppure è vero che questa si rivela una lettura che, a modo suo, lascia un segno.
Buona lettura!
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