Recensione di ‘Storia del nuovo cognome’ di Elena Ferrante
Eccomi finalmente a recensire il secondo libro della
quadrilogia de L’ Amica geniale: Storia del nuovo cognome. Se col primo romanzo
avevamo seguito con passione l’infanzia di Lenù e della sua intrigante amica
Lila, poi la loro adolescenza costellata di successi scolastici, separazioni e
primi amori, e ci eravamo lasciati con il matrimonio di Lila, ora riprendiamo
proprio da qui per vedere finalmente le nostre – ormai – giovani donne affrontare
il mondo reale: gli ultimi anni di liceo e l’università per la prima, il matrimonio
infelice per la seconda. Tutto sempre attraverso il filtro della memoria e
della sensibilità di Lena , diminutivo di Elena; anche lei scopre alla fine la sua vocazione
letteraria scrivendo di getto le sue esperienze e, soprattutto, della sua amica…
Mi chiedo, quanto avrà messo di sé stessa la misteriosa Elena Ferrante nella
sua protagonista? O è semplicemente un gioco di coincidenze costruite ad hoc
per aumentare ancora di più l’alone di mistero e il fascino che lei e i suoi libri sprigionano, questo? Ad ogni
modo, anche senza tutta l’oscurità che avvolge la scrittrice, resta il suo
innegabile talento nel delineare - con una delicatezza mai disonesta - la
maturazione dei suoi personaggi: li segue, li studia a uno a uno, non li dà mai
per scontati. Come già avevo pensato leggendo il primo della serie, le
protagoniste non sono semplicemente le due amiche, bensì tutto il rione che
evolve insieme a loro, cresce, corrompe la sua purezza, ritorna sui suoi passi,
invecchia. Dopotutto, i fatti che descrivono il rapporto di Lena e Lila non
sono eclatanti, sono in qualche modo prevedibili, o percettibili, anche se non si
vuole crederli possibili; poi, però, si realizzano, e la sorpresa ha comunque
la meglio. A costo di diventare ripetitiva, devo elogiare la capacità della
Ferrante di rendere speciali momenti persino banali – una litigata tra moglie e
marito, una festa fuori del rione in presenza di persone colte… – , di saper suscitare ansia e paura con pochi
dialoghi e qualche accenno agli sguardi, di non risparmiarsi mai nulla. È anche
vero che in un libro sono concentrati almeno quattro anni, sicchè le sequenze
narrative abbondano, togliendo spazio a quelle descrittive che avrebbero
certamente rallentato il ritmo; ma il mio giudizio rimane positivo, mi sono
affezionata ai suoi personaggi, alle loro vicende e alle loro malinconie, non
vedo l’ora di leggere il prossimo.
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- Papavero Blu
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